Diario di avventure, finestre sulla Terra. Risalendo i Caraibi verso il Messico, Tulum

Passaro alcuni giorni leggeri ne El Carmen de Viboral. Il sole era radiante, il bar della piazzetta mi riceveva con affetto e rispetto, scrivevo durante i pomeriggi assolati, seduto su una delle sedie di quest’ultimo, sotto gli ombrelloni arancioni, dai quali, forte, filtrava il sole e lo intravedevo voyeur attraverso il reticolato del cotone fitto. Nei pomeriggi uggiosi invece, mi rifugiavo al suo interno, nel tavolo in legno scuro, seduto sulla comoda cassapanca foderata accanto al finestrone che dava sempre sul parco principale che si bagnava completamente della pioggia che scrollava abbondante e fluiva via, in basso verso il fiume ed annaffiava le piantagioni ed i campi verdissimi di questo incantevole paesino. Mangiavo croissant salati di prosciutto cotto e formaggio, rigorosamente caldo, oppure Palitos de Queso, o a volte un cornetto di cioccolato insieme ad un’avena o ad un the caldo, oppure un buon succo di frutta naturale. Pianificavamo già il prossimo viaggio, la prossima avventura quando, in poco più di due opre e mezza ci ritrovammo atterrando nelle terre di Mexico, precisamente a Cancun nella quale però, non ci saremmo fermati subito ma bensì alla fine del viaggio. Ci saremmo diretti verso Tulum, un paesino vivace e tranquillo sulla costa del Caribe.

Organizzammo tutto abbastanza velocemente, il volo fu piacevole e sereno, da lassù potetti vedere tutta la costa del mare dei caraibi, passando per San Andres, Panamá e così fino ad arrivare in Messico. Atterrammo puntuali e, trovato un taxi condiviso ci dirigemmo verso Tulum dove avevamo prenotato un hotel con servizio di biciclette e con una bella piscina sul tetto. Faceva caldo, il tempo era abbastanza afoso ma noi, ovviamente eravamo felicissimi di star scoprendo un nuovo luogo. Era quasi Capodanno. Mancavano solamente tre giorni per finire l’anno, questa convenzione di numeri e classificazioni. L’hotel era davvero carino, una piccola struttura davanti ad una grandissima pineta fatta di pini alti e fulvi, la stanza grande ed una doccia gigante. Lasciammo le nostre poche pertinenze, ci mettemmo il costume da bagno, crema solare protezione alta, portafogli e biciclette in mano ci dirigemmo verso il mare che, si trovava a poco più di circa 700 metri. Passammo per un 7Eleven per pranzare, eravamo partiti all’alba e già avevamo un certo languorino in corpo! Appena lo vidi non potei non ricordare l’emblematico videoclip musicale del mio idolo Justin Timberlake, “Like I Love You” girato proprio davanti ad uno di questi famosi supermercati. Comprammo una pizza decisamente discutibile con salame piccante ed una bibita gassata al sapore di arancia, la fame era abbastanza e la felicità colmava tutto il resto. Ci ristorammo lì dentro una buona mezzora prima di cercare il mare.

Lo raggiungemmo attraverso un sentiero di sabbia bianca e vaporosa. La vegetazione rigogliosa tracciava il cammino, altre persone lo percorrevano al contrario, già saranno state le quattro e mezza e probabilmente erano lì da molto più tempo. C’erano alcuni ombrelloni blu, delle sdraio sparse a caso, di legno chiaro, il mare ciondolava a pochi centimetri da noi, piccole onde si infrangevano sul bagnasciuga. Cominciammo a camminare verso sinistra, in minuta lontananza c’era una scogliera con le celebri rovine di Tulum che ascendevano sul mare cristallino. Il sole non più intenso ma calmo e pacifico si specchiava nel mare dei Caraibi danzando a tempo ondoso contro gli scogli che iniziammo a risalire lenti per goderci il panorama dall’alto. Alcune minuscole palme crescevano fra le rocce, la sabbia, la terra ed i resti millenari dei Maya e noi, lì nel mezzo appoggiati l’uno all’altro ammiravamo l’orizzonte inesistente di quella gioia errante ed unica, lungo la linea immaginaria tra il mare ed il cielo che, aveva cominciato a tingersi di rosa e arancione cancellando l’azzurro diurno al quale siamo abituati. Ci baciammo e restammo immobile con in mano le nostre mani e tra le dita il tempo senza fretta ed affogava pigramente, accompagnato dall’ultimo sole del tramonto, dentro Nettuno, qui ai Caraibi messicani.

Riscendemmo alla spiaggia, già quasi non c’era nessuno. Un ragazzo sistemava i lettini e le sdraio impilandole alle spalle del suo chiosco di gelati e bibite fresche. Un altro puliva con un grande rastrello di ferro un po’ ossidato la spiaggia, raccogliendo la sporcizia del giorno per consegnare alla notte una sabbia pulita dove adagiare la propria umidità. Una ragazza poco distante decorava con delle luci un altro gazebo preparandolo per la festa notturna. Ci togliemmo tutto e ci tuffammo nell’acqua tiepida della sera. Galleggiammo, ci schizzammo a vicenda l’acqua salata tra i capelli, ci immergemmo per poi risalire più contenti che mai. Una musica lontana e tenue stava accogliendo la notte così decidemmo di incamminarci verso l’hotel, per un bagno nella piscina sul tetto. Il cammino sembrò più breve, l’acqua della piscina era fredda in confronto a quella del mare, ne approfittammo lo stesso per immergerci ad osservare le stelle che risplendevano senza inquinamento luminoso del cielo blu di quegli ultimi giorni di anno. Chiamammo a casa e dopo una doccia calda ed una bottiglia di spumante e dell’uva seduti sul pavimento della gigantesca doccia scivolammo in un sonno ristoratore e denso.

a cura di Michele Terralavoro

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