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Un grido d’aiuto dal Kashmir

A gridare è Siddha, il nome è di fantasia per ovvi motivi di non reperibilità, e il suo grido è straziante.

Siddha sogna la pace: “Credo nella lotta politica pacifica che adotti il principio della non violenza.

Se nei paesi dell’Unione Europea si alzasse la voce e si desse consapevolezza alla popolazione del Kashmir che vive nel mondo, allora, potremmo andare verso l’epilogo di questa vicenda”.

Non sempre si considera empaticamente ciò che accade nell’Universo, dato che la maggior parte di noi è esageratamente presa e coinvolta nelle beghe quotidiane del “paesello” in cui abita. È giusto? È sbagliato? Ognuno nella propria intimità potrà, se vuole, prima di tutto chiederselo e poi addirittura rispondersi. Non vi sono obblighi, ma desideri, questo sì.

È incredibile come alcuni popoli riescano a vivere una vita in guerra senza un attimo di respiro. Impressionante la loro resistenza al malessere causato dal combattimento perpetuo.

Attualmente, quello che più sconvolge è che la ribellione e la democrazia non abbiano chance in Kashmir, sì, perché, purtroppo, durerebbero il tempo che si impiega per bere un bicchier d’acqua e la pillola non andrebbe neppure giù. Troppo grande, rugosa, “la pillola”, tale e quale alla sofferenza.

Viene definita “La Terra contesa”, neanche fosse una donna. Naturalmente “contesa” sta a indicare la sopraffazione, la non libertà della donna e della Terra. Un giorno, forse, ne usciremo affrancati da idee così volgari.

“La questione” del Kashmir”, dice Siddha, “È principalmente una disputa tra India e Pakistan che ha avuto origine nel 1947, al momento della divisione del subcontinente indiano. Le radici di questa battaglia sono storiche, religiose e geografiche.

Agli stati principeschi fu data la possibilità di aderire all’India o al Pakistan. Il Maharaja Hari Singh del Kashmir, che all’epoca era un regno autonomo, decise di optare per l’India, decisione che il Pakistan trovò inaccettabile, poiché la maggioranza degli abitanti del Kashmir era musulmana”.

Siddha descrive con una chiarezza estrema e in modo conciso i punti essenziali, tanto da rendere tutto molto più comprensibile di certi trattati:

  1. Il Maharaja Hari Singh firmò l’accordo di adesione con l’India nell’ottobre 1947, permettendo così all’esercito indiano di entrare in Kashmir.
  • L’India e il Pakistan hanno combattuto due grandi guerre per il Kashmir, nel 1947-1948 e nel 1965. Questi scontri hanno portato alla divisione del Kashmir in due parti: una amministrata dall’India, Jammu e Kashmir, e l’altra dal Pakistan, Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan.
  • Le Nazioni Unite proposero un plebiscito in Kashmir per consentire ai cittadini di scegliere se unirsi all’India o al Pakistan, ma non è mai stato realizzato.
  • Nell’agosto 2019, l’India ha abrogato l’articolo 370 della sua Costituzione, che garantiva uno status speciale a Jammu e Kashmir, provocando una forte reazione sia del Pakistan che dei leader del Kashmir”.

La via d’uscita è ovvia nel cuore di Siddha e si spera anche in quello di chiunque abbia un po’ di buon senso.

“La soluzione dovrebbe basarsi sull’intesa tra i due Paesi e sul rispetto delle aspirazioni di tutte le persone che vivono nel Kashmir, ma finora non si è trovata un’ipotesi condivisa”.

Siddha è un fiume in piena, vorrebbe che tutto si risolvesse dalla sera alla mattina, ma si sa che dal buio della notte al sorgere del sole qualcosa deve cambiare. 

La tristezza lo assale e rivela: “È molto più di un semplice problema territoriale: è una faccenda umanitaria, politica ed economica che necessita urgentemente di una risoluzione.

Prevalentemente in Kashmir la popolazione è musulmana, mentre in India per lo più indù, pur essendo uno Stato laico. In questo contesto, la protezione dell’identità religiosa e culturale dei musulmani del Kashmir è un fatto cruciale”.

Siddha ambirebbe che non si voltassero le spalle a chi subisce gravi violazioni dei diritti umani e dice: “In Kashmir sono state segnalate operazioni militari, omicidi extragiudiziali, sparizioni forzate e restrizioni delle libertà civili. Questa situazione crea enormi difficoltà alla gente del posto”.

Inoltre, aggiunge: “Il conflitto ha un impatto negativo sullo sviluppo economico del Kashmir. L’incessante ostilità e la presenza militare hanno danneggiato l’economia, limitando le opportunità di affari, turismo e occupazione”.

A questo punto è plausibile immaginare che qualcuno non voglia proseguire con la lettura di questo articolo, e dia forfait, dacché la storia è, come le canzonette, molto simile a tutte le altre.

Si, ahimè, pure questa è una “musica”, creata, però, con il sangue di tanti morti ammazzati.

La storia si studia a scuola e per molti è insopportabile, piena di accordi, disaccordi, spartizioni, interessi politici e non solo.

La storia è noiosa, un po’ meno all’Università, ma soltanto per gli appassionati. È stracolma di date, fatti e misfatti che si assomigliano pressappoco tutti. Racconta in modo prolisso la semplicità: “Si fa come dico io!”, e l’altro: “Neanche per sogno!”, e cominciano le mazzate. Eccola la storia in pochissime parole. Che liberazione l’ironia, benché applicata alla pesantezza della guerra che ormai odora di rancido e andrebbe buttata nel secchio dell’immondizia, invece, non si riesce ancora a cestinarla, persiste nonostante la presenza della civiltà.

La storia diventa straordinaria quando le parole escono dalla bocca di Gandhi: “Ciò che accadrà nel Kashmir dipenderà da voi, popolo del Kashmir. Tutto quello che posso dire è che non salveremo né la nostra religione né noi stessi ricorrendo alla violenza”.

Gandhi logicamente era contrario al fatto che il Kashmir venisse costretto a fare qualcosa che non volesse: “Il Kashmir deve essere libero di decidere”.

Siddha sta provando a coinvolgere tutti/e noi e con la forza della speranza afferma: “Il Kashmir compete per la propria autonomia politica e il diritto all’autodeterminazione. Questo diritto avrebbe dovuto essere concesso secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite, ma a tutt’oggi ciò non è avvenuto.

Il dissidio del Kashmir rappresenta una minaccia costante per la pace e la stabilità dell’Asia meridionale. L’India e il Pakistan, tutte e due potenze nucleari, sono in uno stato di tensione che potrebbe trasformarsi in una grande guerra con conseguenze devastanti per tutta la regione.

Un’intesa sarà attuabile solamente se le parti implicate, cioè l’India, il Pakistan e il Kashmir, si impegneranno in un dialogo reciproco e cooperativo per trovare un accordo adeguato e duraturo. Anche la comunità internazionale ha un ruolo importante, esercitando pressione su entrambi i Paesi, affinché si avvicinino alla pace e ai negoziati”.

Dare voce al grido di Siddha è il minimo che si possa fare.

A cura di Maria Grazia Grilli

Gandhi – Kashmir a cura di Suryakant Nath

Foto dal web

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