Avere a che fare con la recitazione è, soprattutto, avere a che fare con sé stessi.
Il lavoro, quindi, può essere estremamente faticoso, ma rivitalizzante e incredibilmente creativo; è un’azione che porta alla luce ciò che ha bisogno di essere visto, perciò la scoperta, in un primo momento, può essere sconcertante, ma dopo pochissimo tempo appare la meraviglia delle meraviglie, ed è così che il lavoro si trasforma in energia, pura, dando vita a intuizioni che rigenerano. La recitazione è in grado di fare tutto questo? Non solo la recitazione, ma molte altre attività, purché si facciano in un certo modo, ovviamente. Recitare è il gioco più divertente del mondo, nella gioia e nel dolore. I personaggi, immersi nelle loro storie, sono “amicizie” eterne che aiutano a scavare per trovare il capolavoro nascosto in ognuno di noi.
C’è da evidenziare che, come diceva Stanislavskij, l’allenamento è fondamentale per non storpiare quello che la natura ci ha donato; e possiamo raggiungere la perfezione. Tanto maggiore è il talento, tanto più allenamento e tecnica sono necessari, insomma bisogna sottomettersi alle leggi creative della natura. Questo il suo, stratosferico, pensiero.
In fondo ormai si sa, un po’ dappertutto, che siamo attori, autori e registi delle nostre storie, in questo palcoscenico chiamato vita: protagonisti siam!
Sin da bambini veniamo iniziati alla nobile arte della recitazione e senza rendercene conto andiamo in scena. Da piccolissimi appare come un gioco e poi si rivela naturalmente salvifica, in alcune situazioni, quando non si ritorce contro chi la mette in atto. Spesso si utilizza come forma di manipolazione per circuire gli altri e fare i propri comodi. Infatti, in giro ci sono molti premi Oscar mancati. È certamente una deviazione della recitazione.
L’arte di donare un personaggio a qualcuno non rientra nell’ultima categoria descritta.
Abbiamo un bel da fare, dalla mattina alla sera, per portare a casa gli applausi, non sempre si riesce, ogni tanto lo “Spettacolo” è un flop, ma poi si ricomincia. Il personaggio, ahimè, è più o meno sempre lo stesso e dopo un po’ emerge la sofferenza. Eh sì! Immaginate un attore che interpreti, per tutta la sua vita, soltanto Amleto, sarà indubbiamente un personaggio ambitissimo, ma può diventare abbastanza noioso, a tratti nauseante. Anche perché non si sta parlando di Buddha o di Gandhi. Fosse Buddha o Gandhi “Uno ci metterebbe la firma”, forse.
Come si fa a cambiare personaggio? Si lavora sodo. Si abbattono le convinzioni stantie, i giudizi e molto altro, si respira e si fa spazio a nuovi personaggi, dentro e fuori di sé.
E finalmente l’attore-essere umano, rigenerato, può lasciar vivere il personaggio sul palcoscenico con la consapevolezza che tutti attori siam!
Si arriva, inoltre, ad accettare di essere figuranti, magari speciali, nella vita degli altri e protagonisti nella propria.
Si può attingere, infine, alla libertà sprigionata dalla triade: talento, allenamento, tecnica.
Nel concetto “Tutti attori siam” il punto di partenza e quello di arrivo non sono distinguibili nitidamente, anzi sono l’uno nell’altro, in equilibrio, e si manifestano nello stesso istante, pur avendo uno spazio, segreto, che li attraversa, visibile solo a chi si immerge con tutto sé stesso nel lavoro.
Concludo con il pensiero di Lee Strasberg: “È mia ferma opinione che le scoperte e i procedimenti essenziali per le capacità dell’attore siano ugualmente necessari, se non di più, al profano”.
A cura di Maria Grazia Grilli
Immagine Emy Gargiulo