Qualche giorno fa ero nei pressi di Torino e ho fatto uno squillo ad Alessandro, per incontrarlo. Nelle ultime settimane mi ha confessato di essere particolarmente emozionato e indaffarato, perché stava lavorando al lancio del suo ultimo lavoro in studio. Conosco la sua dote, è un cantautore particolarmente dotato, perfezionista, esperto della materia. Classe 1992, già da piccolo suonava il pianoforte e a 17 anni aveva già inciso il suo primo disco. Poi varie partecipazioni a contest e talent, dai quali però non ottiene risultati soddisfacenti. Allora decide di dedicarsi ad un nuovo progetto che lo vedrà laurearsi in economia aziendale, poi in amministrazione, finanza e controllo e intraprendere la carriera in quell’ambito. La musica, però, non l’abbandona. Nel 2023 pubblica “Itaca”, una ballata pop, dedicata ad una storia d’amore, con un testo struggente e una melodia particolarmente orecchiabile: “… e anche se mi fai perdere le parole, ti scrivo questa canzone.”
Quest’anno ha scritto ancora e so che lo ha fatto con il suo inconfondibile stile.
“Ale, sono a Corso Francia.” “Vieni davanti al palazzo con i balconi bianchi.” Alessandro si è trasferito un po’ di tempo fa da Torino a Collegno e non da solo: questo particolare me lo
svela davanti ad un caffè. Il suo terrazzo dà proprio sul corso, che è il più lungo d’Europa, e di gente ne passa. E’ il suo “punto di osservazione del mondo”: vede le generazioni opposte, le gioie e le sofferenze delle persone, le noie e i sorrisi della vita quotidiana. “Scatole di vetro” è nata lì, all’ombra di quelle tende gialle.
Ho conosciuto Carlotta, lui ne è innamorato pazzo. Il “brano galeotto” che li ha fatti avvicinare è stato Itaca: lui glielo ha fatto ascoltare e lei lo ha convinto ad inciderlo da Giovanni, un suo amico. Da quel momento, nasce la loro relazione che li porta a scegliere di andare a vivere insieme. Mentre sorseggiamo il caffè, Alessandro mi descrive, attimo per attimo, la nascita di “Scatole di vetro”: fa riferimento alla fragilità dei sogni di chi vive la guerra ogni giorno, quando basta un niente per distruggerli in mille pezzi. Come il vetro, appunto. “Guardavo le persone muoversi, qui nel Corso. Intravedevo tante storie diverse, tanti frame di una società che nonostante tutto vive liberamente la quotidianità. Nel mondo, però, c’è tanto grigiore, tanto dolore e la causa è la guerra. Ma che senso ha, la guerra?.”
“Noi i sogni li teniamo nel cassetto, al riparo da quello che può succedere al di fuori. Loro, i sognatori, bambini e donne che la guerra la subiscono, cercano malamente di proteggerli in queste scatole trasparenti e delicate, in mezzo alle strade, alla mercè di chi decide per loro il futuro. Ammesso che questo ci sia. Alla fine restano i frantumi.” Mi passa il suo smartphone con gli auricolari e mi fa ascoltare il lavoro. “Scatole di vetro” è una poesia, commovente. Ogni parola è un’immagine, ti racconta scenari di tristezza, speranza, rabbia. Alessandro ha creato qualcosa di straordinario: la melodia si trasforma, in un crescendo che amplifica le sensazioni; una semplice parola come “singhiozzo” assume un valore onomatopeico e diventa proprio “quel” rumore, quel sussulto. In questo macabro scenario i potenti giocano a Risiko, mettendo in luce la smania per la guerra, cinica, crudele. La buonanotte di ogni bambino che rischia di diventare un addio, ogni sera, ogni volta che si cerca di dormire. Mentre il mondo chiude gli occhi… Un appello potentissimo alla pace, che merita di essere ascoltato. Alessandro ha fatto centro. Di nuovo.
Scatole di vetro si può ascoltare qui e fa da apripista al lancio di altri tre brani. Gli ho chiesto di farmeli ascoltare, lui me lo ha negato, perché “devono essere l’occasione per rivederci di nuovo”. E sia.
A cura di Clemente Scafuro
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