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Scacchi, roulette, scopa: digitalizzazione e giochi della tradizione

Quando si parla di digitalizzazione si tende perlopiù ad associare alcuni fenomeni che, in un modo o nell’altro, hanno a che fare con trasformazioni radicali: basti pensare alla fotografia o alla musica. Si tratta di veri e propri step evolutivi, con il passaggio al digitale in grado di segnare un prima e un dopo nella loro storia. Più particolare è il caso dei giochi della tradizione, che nel passaggio al digitale hanno spesso trovato una chiave per rinverdire il loro intramontabile successo: le loro versioni digitali infatti raramente si rivelano in grado di soppiantare i classici analogici, finendo piuttosto per affiancarli e creando così uno scenario per molti versi unico.

Prendiamo per esempio gli scacchi, un esempio unico di dematerializzazione ante litteram e con profondissimi legami con lo sviluppo dell’informatica. In questo caso la digitalizzazione è una questione tutto sommato semplice: riprodurre virtualmente una scacchiera non è complicato, e per il resto servono solo sei icone uniche per indicare i sei diversi pezzi e l’insieme di regole secondo le quali si muovono. Non a caso, nella loro semplicità di gioco gli scacchi hanno già conosciuto il multigiocatore fin dal ‘700, quando attraverso il servizio postale due giocatori a distanza potevano comunicarsi le rispettive mosse: ancora oggi si può giocare a scacchi per corrispondenza, nonostante sia una modalità abbastanza desueta anche in virtù del loro successo digitale. La loro digitalizzazione, se nel caso di una partita tra due giocatori non presenta alcuna differenza dagli scacchi tradizionali, è invece andata incontro a esigenze ben specifiche nel caso di una sfida contro il computer. La profondità di pensiero strategico e il ragionamento in proiezione futura sono essenziali negli scacchi, e fin dagli anni ’80 si è cercato di creare un computer in grado di giocarvi fornendo un livello accettabile di competitività. Una sfida vinta da IBM e dal suo supercomputer Deep Blue, che a metà anni ’90 si confrontò con il campione di scacchi Garri Kasparov riuscendo a sconfiggerlo: un esito senza precedenti che fece da volano per le azioni di IBM, e che mostrò le potenzialità dell’intelligenza artificiale. Se oggi qualsiasi software può mettere in difficoltà uno scacchista, per l’epoca si trattò di una vera e propria pietra miliare: un ottimo esempio di come la digitalizzazione degli scacchi, nonostante non abbia mai mandato in pensione la scacchiera fisica, abbia rinnovato l’interesse verso un gioco senza tempo approdato anche nella serialità.

Più particolare la digitalizzazione della roulette, che come molti passatempi da casinò è indissolubilmente legata alla casualità. La ruota fisica infatti arresta la sua rotazione per inerzia, una cosa impossibile da rendere nella sua digitalizzazione: non si può certo pensare a un risultato casuale in un mondo regolato da codici e programmazione. Questo almeno fino a quando non sono stati sviluppato algoritmi di generazione casuale di numeri: attraverso particolari espedienti, come input esterni o seed, il programma è in grado di ottenere un risultato ogni volta casuale, facendo entrare l’aleatorietà nella programmazione. Naturalmente questa è stata la chiave perché potessero prosperare i moderni casinò online, che hanno potuto proporre versioni digitali in grado di replicare le loro controparti fisiche in maniera pressoché perfetta. Nel caso della roulette le analogie si estendono anche alle puntate, che nella roulette digitale sono perfettamente sovrapponibili alla roulette fisica: paralleli che si ripetono persino nel layout della roulette, che riproduce perfettamente quello presente in qualsiasi roulette tradizionale.

Infine pensiamo alla scopa, classico senza tempo tra i giochi di compagnia. Il suo approdo online ricalca la storia di decine di altri giochi di carte, ai quali ben presto guardarono gli sviluppatori della nascente informatica alla ricerca di intrattenimenti: ci si rivolse alla scopa, come ad altri giochi di carte, per la semplicità. Più che la semplicità delle regole, quello che interessava era la semplicità grafica: i sistemi operativi degli anni ’70 e ’80 erano decisamente primitivi rispetto a oggi, e anche le rese visive erano essenziali. Proprio per questo fra i primi giochi a essere digitalizzati si trovano giochi di carte: risultava già all’epoca ben poco complicato creare semplici rettangoli accompagnati da una combinazione di un simbolo e un numero o una lettera, e un mazzo di carte era già pronto. Anche le regole, riportate nel codice degli specifici software, risultano poco complesse: dopotutto è sufficiente prevedere il calcolo dei punti, le somme dei valori, una sequenza delle carte coperte che non si ripeta e poco altro. Merita menzione il Solitario di Windows, che spicca tra i giochi di carte per la sua genesi casuale: fu sviluppato nei ritagli di tempo da un tirocinante presso Microsoft come progetto autonomo, attraverso il quale prendere dimestichezza con l’utilizzo dell’allora nuovo mouse.

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Redazione StreetNews.it
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