Le opere del Settecento sono state poco rappresentate nella storia del Teatro Filarmonico di Verona che pure alla sua nascita è stato determinante nello sviluppo della Baroque Renaissance.
La prima rappresentazione in tempi moderni dell’ Orlando furioso di Antonio Vivaldi (1678-1741) avvenne il 1978 ad opera del M° Claudio Scimone e la regia di Pier Luigi Pizzi con una straordinaria Marilyn Horne nei panni del protagonista : fu un evento eclatante, tanto da essere replicato a grande richiesta la stagione successiva.
Dopo quarantatré anni di assenza, quello che oggi è tra i più significativi titoli del famoso Prete Rosso (come veniva chiamato per il colore dei capelli) è tornato l’8 maggio sulle scene veronesi con il profumo della riscoperta (repliche 11, 13 e 15 p.v.).
Le quattro recite hanno visto sul palcoscenico del Filarmonico l’elegante allestimento creato per il Festival della Valle d’Itria (2017) ed il Teatro La Fenice di Venezia (2018) dalla regia del giovane Fabio Ceresa, grazie alle splendide scene realizzate da Massimo Checchetto, ai costumi firmati da Giuseppe Palella ed al progetto luci curato da Fabio Barettin.
La regia, di straordinaria eleganza, punta su due elementi fantastici che da sempre dominano l’immaginario del capolavoro dell’Ariosto: l’ippogrifo (che grazie ai movimenti mimici di Silvia Giordano sembra una creatura viva) e la luna che presenzia sullo sfondo la scena e che al suo interno racchiude il mondo fatato dell’isola della conturbante maga Alcina.
E’ bastata la prima scena, con l’apparizione della luna sullo sfondo, per far venire alle labbra di tutti gli spettatori l’incipit dell’Orlando Furioso (‘Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto’), capolavoro letterario assoluto, che il poeta ferrarese scrisse nei primi decenni del 1500, in pieno Rinascimento.
Giulio Prandi, alfiere del repertorio barocco a Verona, è tornato al Filarmonico dopo il successo del Dido and Aeneas trasmesso in streaming e alcune esecuzioni del Messiah haendeliano (2021): ha diretto l’Orchestra su strumenti moderni integrandoli ai suoni di due cembali ed una tiorba (strumento musicale a corde pizzicate, della famiglia dei liuti, detto anche chitarrone) ed il Coro preparato da Ulisse Trabacchin.
Per la prima volta a Verona, inoltre, Orlando furioso si esegue nell’edizione critica curata da Federico Maria Sardelli.
Tutto il cast, specializzato in ambito vivaldiano, è stato all’altezza della situazione e pertanto salutato con vivo successo dal pubblico a partire da Teresa Iervolino (per la prima volta nel ruolo del titolo), previsto sin dall’origine come gli altri ruoli maschili per voci femminili o castrati.
Come lei, nei panni virili si sono calate Sonia Prina (Ruggiero) e Laura Polverelli (Medoro) affiancando Chiara Tirotta (Bradamante) e Francesca Aspromonte (Angelica).
Completavano il cast Christian Senn ( Astolfo) e Lucia Cirillo nella parte della maga Alcina, vero deus ex machina dell’opera, attorno a cui ruotano gli amori e le passioni dei paladini cavallereschi, veri o frutto di sortilegi e seduzioni che lei gestisce ed alimenta.
Io non riuscivo a togliere gli occhi dalle scene, sontuose ed allo stesso tempo
funzionali ai movimenti dei personaggi, abbigliati con stupendi costumi colorati ed adorni di luccichii.
La storia di quest’opera (dramma in tre atti) parte da lontano. Nella stagione 1713, presso il piccolo Teatro Sant’Angelo di Venezia, era stata allestita con successo un’opera del compositore bolognese Giovanni Alberto Ristori su libretto di Grazio Braccioli dal titolo ‘Orlando furioso’.
Vivaldi si appassionò al soggetto e chiese al poeta ferrarese di adattargli un nuovo testo, questa volta ispirato maggiormente all’’Orlando innamorato’ di Matteo Maria Boiardo (1495).
L’opera (la prima scritta dal compositore veneziano per Venezia e la seconda dopo l’esordio in teatro con l’’Ottone in villa’ presentata a Vicenza nel maggio del 1713) andò in scena nel novembre 1714 riscuotendo una tiepida accoglienza: per rimediare al fiasco la direzione del Teatro impose il riallestimento del lavoro di Ristori al quale Vivaldi apportò alcuni cambiamenti con l’aggiunta di qualche aria per il nuovo cast.
Dopo un esilio artistico iniziato nel 1718 verso Milano e Roma, Vivaldi rientrò nel 1725 a Venezia e riallacciò i rapporti con il Teatro che lo assunse ufficialmente come ‘direttore delle opere in musica’ fin dalla stagione autunnale del 1726. Si trattò di un nuovo slancio per la sua carriera lirica che lo porterà a scrivere in meno di cinque mesi tre capolavori come ‘Dorilla in Temple’ (Teatro Sant’Angelo, novembre 1726), ‘Ipermestra’ (Teatro della Pergola di Firenze, gennaio 1727) e ‘Farnace’ (Teatro Sant’Angelo, Carnevale, 1727).
Per la stagione autunnale 1727 il Compositore decise di porre rimedio alla defaillance occorsa tredici anni prima musicando nuovamente l’Orlando.
Recuperò la prima versione del libretto di Braccioli (la più fedele all’originale letterario) e – seguendo una prassi allora consueta – inserì alcune arie tratte da precedenti opere nella nuova versione: In questa veste lo ripresentò al pubblico veneziano il 10 novembre successivo, come opera inaugurale, affidando il ruolo di protagonista al mezzosoprano Lucia Lancetti, specialista in ruoli ‘en travesti’.
Il successo che accolse l’Orlando è documentato dal fatto che una decina di arie sono state da Vivaldi riprese – anche se con modifiche – nell’opera ‘Atenaide’ andata in scena a Firenze nel 1729. A parte una ripresa a Bergamo durante il Carnevale del 1738 l’opera cadde comunque in oblio, come quasi tutte le consorelle dell’epoca barocca, fino alla trionfale ripresa moderna con la regia di Pizzi e l’interpretazione della Horne di cui si è detto sopra. E’ stata quindi ripresa a Dallas, Nancy, Parigi e San Francisco aprendo la via al suo successivo rientro nel repertorio dei teatri lirici internazionali e segnando la rinascita in epoca moderna di un interesse a livello mondiale per le opere del violinista veneziano.
Paola Cecchini