Si può cominciare con il dire che Ivan e il suono sono uniti indissolubilmente.
A Ivan non manca il coraggio della passione che resiste a qualsiasi difficoltà si ponga dinanzi a chi desidera realizzare ciò che ha nel cuore. Tant’è che non si è lasciato scappare l’occasione di dare vita a uno studio di registrazione in un luogo molto bello come Caserta, ma non si può negare che le prospettive di avere un elevato riscontro di considerazione, almeno nell’immediato, non si possono paragonare a una grande metropoli dove sicuramente la concorrenza sarebbe maggiore, però anche le soddisfazioni.
Da quel che si sa, Ivan è tosto e gagliardo nel mantenere la meta che ha davanti a sé. È un polo attrattivo per chi vuole fare musica a un certo livello in quel di Caserta e dintorni parecchio lontani, sì perché qualcuno si è spostato all’estero e continua nel rinnovare la propria stima a Ivan, che è sempre pronto a supportare l’arte e gli artisti o artiste che vogliano esprimere le emozioni attraverso la musica.
Benzyh è il tuo nome d’arte. Come mai hai scelto questo nome?
In realtà oltre alla post produzione in studio mi occupo del mio lato artistico con il nome di Benzyh che si è manifestato a me, rincorrendomi, senza che io facessi praticamente nulla, dal 2003 fino a oggi. E deriva da un episodio in particolare. Io ho cominciato il mio percorso come ballerino e un giorno indossavo una tuta, comprata in un mercatino, che aveva una scritta non originale: “Adibas”, anziché Adidas, era completamente grigia, sembrava la divisa da lavoro dell’Agip di qualche anno fa e allora mi dicevano perennemente: “Sembri un benzinaio”, così come nome d’arte, da balIerino, scelsi Benzyh che è il diminutivo di benzinaio. È un evento simpatico che ricordo con piacere.
Ivan, vale sempre la pena di inseguire i propri sogni in Italia?
Più che sognare, penso si debba avere chiaro che un obiettivo per essere perseguito ha bisogno di azioni, dico questo perché sognare molto spesso è associato allo stare sulle nuvole, al non agire, invece a Caserta uno le cose le può fare, però deve essere pronto a combattere, letteralmente, poiché ci sono veramente tanti impedimenti.
È fondamentale non fermarsi e il nome dello studio racconta proprio questo. Don’t Stop, deriva da un punto di vista, un’angolatura.
Tante volte paga più la perseveranza che la qualità delle azioni, ossia, per come la vedo io, sebbene si impari strada facendo, il fatto di non rimanere fermi alla fine conduce al traguardo. Questo è il pensiero che mi ha permesso di dare vita allo studio.
E come va il tuo studio di registrazione a Caserta?
Va bene.
L’apertura dello studio è stato soltanto il primo step verso uno scopo più grande e profondo, che riguarda la piccola comunità dove risiedo e gli artisti che mi si affidano, uno per tutti Cataldo Cappiello che è stato il primo a credere nel mio progetto con immensa fiducia e continua a farlo, benché ora viva a Londra.
In studio arrivano continuamente varie tipologie di artisti e artiste, sì, io non mi chiudo in un genere musicale preciso, cerco un approccio empatico verso l’artista, provo a capire qual è il suo fine e con la lavorazione, la manipolazione dei suoni rintraccio la sua idea, portandola al massimo della fruibilità, nelle mie possibilità, ovviamente. In pratica mi pongo al servizio. È come essere un artigiano a tutti gli effetti, ma con il suono.
Ami il genere hip hop, ma lo danzi?
Sì, ho fatto persino delle competizioni a livello nazionale, ho partecipato a diversi eventi importanti.
È stato un bel percorso che percepisco come se fosse un bagaglio di esperienza per quello che sto facendo ora.
Ho interrotto da qualche anno in seguito a vari infortuni, tuttavia da lì è partito l’intenso coinvolgimento musicale che si è collegato a tutto il resto, è stato l’input.
Ho ballato per circa tredici anni, poi a un certo punto ho virato la passione della musica in tecnico del suono e seguire gli artisti, che è comunque un rimanere dentro.
Ti manca la danza?
Sì, è pure vero che ogni tanto mi capita in ambienti festivi con gli amici di fare qualche passetto, giusto per il piacere di condividere un po’ di energie belle, solo che dopo sto fermo una settimana (risate).
Tu sei uno stimatissimo tecnico del suono, un giovane imprenditore coraggioso e certamente un artista, come hai creato tutto questo?
Io sono partito facendo “Resto al Sud”, un’iniziativa finanziaria per i giovani del sud, è una opportunità specifica che c’è da alcuni anni. Chiaramente poi mi sono scontrato con la macchina burocratica e su questo argomento non posso avere parole troppo positive, in quanto tra il dire e il fare c’è di mezzo la burocrazia. Ho impiegato cinque anni per aprire Don’t Stop Studio. Ecco perché prima ho detto che non bisogna fermarsi, dato che se si è nell’ingranaggio può risultare spiacevole uscirne per tornare indietro, il problema è che non si può andare neanche avanti e questo genera un sentimento di afflizione abbastanza prepotente, abissale. Alla fine sono riuscito nonostante gli ostacoli: aspetta le carte, vai su e giù, crea punti di contatto tra enti che non si parlano, sopravvivi alla contraddizione dei documenti necessari, nel senso che per farne uno ce ne vuole un altro che non possono rilasciare, visto che ci vorrebbe quello che non si può avere se non si porta quello che si sta richiedendo, ed è meglio che io non continui altrimenti impiegherei giorni a raccontare.
Non è stato facile, psicologicamente soprattutto, però non ci si deve bloccare, è un gioco basato non sulla resilienza, ma sulla resistenza interiore.
Cosa ti aspetti ancora dalla musica e dall’imprenditoria?
Della musica ne ho fatto una ragione esistenziale. È talmente determinante all’interno della mia vita che non posso farne a meno. Mi rende vivo, non mi fa sentire solo, mantiene tutto, sia sul piano psicologico che concreto, essendo un lavoro e in più è un riciclo di forza vitale, dal momento che io ho una modalità abbastanza sociale riguardo alla musica, infatti qui passano tantissimi/e artisti/e di tutti tipi e alcune volte cerco di generare dei link. Il mio intento è di far nascere dei sodalizi artistici, delle condizioni favorevoli per confrontarsi.
Dall’imprenditoria mi aspetto che lo studio cresca e si allarghi, quindi l’una in funzione dell’altra ovvero se cresce un lato anche l’altro deve farlo, il desiderio è che fioriscano insieme, siano speculari, complementari, malgrado la lontananza tra i due mondi: l’arte e l’imprenditoria; sebbene io creda che si possa raggiungere l’arte dell’imprenditoria, naturalmente, sarà diversa dall’arte nel senso più puro del termine.
Dovrebbe verificarsi una collaborazione stretta tra queste due abilità che permetta di evolvere: a me, il luogo dove sono e le persone con cui collaboro.
A cura di Maria Grazia Grilli