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La musica di Cataldo Cappiello

“Mi rifiuto di incastrarmi in un genere specifico. Il modo in cui compongo e mi esprimo è il mio specchio e mi riflette in ogni fase e stagione della vita. Pertanto, deve essere illimitato e profondo come il cielo”. Queste le parole di Cataldo Cappiello. Forti, sicure e infine poetiche.

Un artista raffinato Cataldo, a tratti silenzioso, eccellente ascoltatore e forse l’arte di cui è messaggero nasce da questa sua attenzione a ciò che accade nell’istante. Lo sente, lo decodifica e lo restituisce dopo averlo interpretato con la sensibilità che lo contraddistingue.

Cataldo ha scelto di vivere a Londra e ormai da alcuni anni è lì che continua a coltivare i suoi sogni: diventare un compositore di colonne sonore per videogiochi, film, documentari e altro.

Cataldo oltre a comporre, suona la chitarra ed è un produttore. Ha inciso sette album, cinque EP e venticinque singoli.

La sua musica è stata pubblicata da diverse etichette discografiche tra cui Lofi Bloom, Bowerbird Records, Rubato Records, Guia Records e Chillhop Lofi. 

Collaborazioni importanti con altri artisti includono Benzyh, Chloe Edgecombe, Anna Soares, Vera Clinco, Symoo, Alhivi, Cloud, Drunk Urameshi, Ml?yna, Stinger Tone e Bryce Leere.

Di ragguardevole rilevanza è l’uscita della sua ultima opera, Taiga, su tutte le piattaforme streaming, comprese: Spotify, Apple Music e YouTube.

Taiga emoziona come un classico di un compositore eccelso.

L’animazione è a cura di Kohei Miyahara; il mixaggio e il mastering sono stati realizzati da Don’t Stop Studio.

Cataldo, puoi raccontare come nasce Taiga e la tua passione per lo Studio Ghibli?

Taiga è nata da un momento di difficoltà nella mia vita in cui mi sentivo prigioniero della routine della grande città e si è rivelata il mio sistema per evadere dalla monotonia. Infatti, è una composizione dall’ampio respiro che parla di sentimenti, ma principalmente di libertà.

È stata ispirata dalla visione di un film dello Studio Ghibli: “La città incantata”. La straordinaria colonna sonora ha sottolineato le azioni in maniera perfetta, personale, tanto da stimolare in me un pensiero: “Anch’io ho qualcosa di simile da esprimere.

La passione per lo Studio Ghibli si è generata semplicemente guardando i film creati dallo Studio, tutti interessanti e diversi tra loro, benché abbiano un velo familiare, una dolcezza nella perdita, essenzialmente nel lutto che è ricorrente. Io, a mia volta, nei miei lavori cerco di portare la componente narrazione, tant’è che sovente mi riferiscono di aver, sì, ascoltato un pezzo strumentale, ma soprattutto di aver visto una serie di gesti ed emozioni come se un personaggio attraversasse una storia.

Perché Londra? In Italia non avresti trovato le stesse opportunità?

Io sono un graphic designer, ho tentato di lavorare in Italia e prevalentemente a Sorrento, la città dove sono cresciuto, ma non sono riuscito a individuare un terreno fertile. A dire il vero, già da prima che studiassi le arti grafiche mi fu detto: “Tu devi andare a Londra, lì, sicuramente, crederanno in quello che fai”. Alla fine l’occasione si è presentata e nel 2018 mi sono trasferito; nell’arco di due mesi il lavoro è arrivato. In UK il mercato è differente, non è necessario né essere dei guru per ottenere un lavoro e neppure possedere un’esperienza pregressa. In più con alcuni amici e amiche che hanno seguito me e sono venuti anno dopo anno, abbiamo dato vita, non dico a una piccola community musicale, ma quasi, c’è l’amico bassista, l’amica che canta, in pratica in un modo o nell’altro posso parlare di musica.

Non ho ancora una dimensione vera e propria, in quanto Londra è l’opposto di Sorrento, cioè Sorrento è troppo piccola per una realtà ambiziosa e Londra schiaccia, essendo smisuratamente estesa. È come essere una goccia nel mare, in un certo senso. 

Sei notevolmente supportato da chi lavora con te, questo lascia presupporre che tu sia riconosciuto e molto stimato da chi ti sostiene, è così?

Chi mi sostiene mi stima talvolta come amico e altre come musicista, però non tutti i miei amici e le mie amiche credono nella mia musica, giacché non è immediata, ma è quello che mi piace fare. In passato ho provato più volte a cogliere il gusto del pubblico e con la mia mente creativa dicevo: “Cerchiamo di fare qualcosa che piaccia”, poi mi sono accorto che il risultato è sempre lo stesso, ossia, non tutti/e gradiscono, di conseguenza ho deciso di fare quello che mi fa sentire bene; poiché se sono a mio agio nel comporlo, rinvigorito nel buttarlo fuori, ci sarà poi una nicchia di persone che proverà il medesimo benessere, ma davvero, perché nel tentativo di piacere a più persone, alla fine mi appiattisco e il plauso non è che manchi, ma è moderato. Invece io ricerco la forza. Un’espressione che dia il tuffo al cuore, tipico dei compositori che ammiro come Alcest, Joe Hisaishi, Nobuo Uematsu che ha lavorato alla serie Final fantasy.

Desidero prendere dal calderone delle ispirazioni e realizzare una cosa che faccia prima venire il brivido a me e poi all’ascoltatore. Parlare di brivido può sembrare pretenzioso, ma non lo è, considerando che c’è un attimo in cui l’emozione vissuta viene trasposta, si manifesta all’esterno, praticamente un episodio brutto, marcio, all’interno di sé, esce e si trasforma in un frutto bellissimo. Ecco che scatta un intenso, commovente, turbamento e mi rendo conto di quanto sia inevitabile la percezione di una storia; dal mio punto di vista, non usando parole, siccome volo un po’ per archetipi credo sia più verosimile il fatto che questi atterrino sulle teste delle persone e si adattino poi a quello che c’è nel loro passato.

A livello tecnico, per quanto il mio skill set sia abbastanza vario, ho tantissime limitazioni e più mi si ascolta, più si sa quali siano i miei limiti, le mie carenze. Non voglio spacciarmi per un virtuoso, chi mi conosce, sul serio, sa che se mi ci metto l’arrangiamento lo faccio e funziona, è emozionante, ma se mi viene posta una domanda di stampo un po’ più Jazzistico, del tipo: “Mi suoni un I V IV VII in Do Misolidio?”, non riesco a immaginare dove mettere le mani. 

Perciò i miei più grandi supporters sono innanzitutto coloro che sanno fin dove mi è possibile spingermi e questo mi fa stare in pace, posso essere autentico senza temere che ci sia un’aspettativa non commisurata a ciò che sono.

Cosa rappresenta per te la musica nella tua vita personale oltre che professionale?

Io direi che la musica nella mia vita rappresenti un po’ la bussola. Spessissimo mi sono sentito smarrito, persino adesso avverto la sensazione di stare un po’ vagando nel buio.

Indubbiamente la musica è la mia costante e non importa in che direzione io vada, mi impegnerò sempre a inseguirla, in quanto penso che sia l’unica forma di magia sulla Terra. Io suono un paio di accordi e ho comunicato in una lingua universale con chiunque e non pronunciando neppure una sillaba. Credo che sia universale al punto da permettermi di dialogare con me stesso.

La musica finisce per ricoprire un ruolo meditativo, dal momento che per farla io vado dentro di me e mi guardo dall’esterno come se fossi un alieno; quando sono nel processo compositivo, dimentico di mangiare, di controllare il telefono, passano quattro, cinque, sei ore, poi mi alzo e l’idea è compiuta, dunque posso affermare che oggi mi conosco meglio. In verità non mi siedo mai con questo intento, ma soltanto perché ho una melodia in testa. La fisso e poi finisco per ritrovarmi a pensare che di fatto sto premendo fuori il trauma che era nascosto. E ciò ovviamente avvalora l’importanza del mio percorso creativo.

In futuro mi piacerebbe occuparmi di colonne sonore, videogiochi e quant’altro, però se anche non dovessi mai farne un soldo, ugualmente vorrei non abbandonare la musica per il valore terapeutico che mi dà, scontato quanto possa essere per me è così e suppongo che valga analogamente per chi usufruisce dell’ascolto.

E poi la musica la faccio escludendo i compromessi, di cui sono abbastanza stufo. Tant’è vero che in passato usavo gli pseudonimi, mi conoscevano prima come Caelestis, poi Caelestis è diventato un duo e abbiamo fondato Cynerea, poi pure Cynerea non ce l’ha fatta, allora sono diventato Flux zero e ora Cataldo Cappiello, io, con nome e cognome, dato che è il mio flusso di coscienza che viene ascoltato, la mia anima non filtrata e se sto male tu starai male, se sto bene tu starai bene. Proverai sensazioni identiche alle mie.

Ti manca l’Italia?

Mi manca Sorrento, ma non come luogo dove vivere. Chiaramente ho nostalgia dei posti della mia infanzia, degli odori, di chi è rimasto. E purtroppo o fortunatamente il mio gruppo di amici/che si è sparpagliato nel Regno Unito, in Europa e altrove.

A Sorrento c’è la mia famiglia, la mia casa, la lingua in cui parlo meglio. In teoria, l’inglese ormai lo mastico e ogni tanto conversando con i/le miei/mie amici/che inglesi dico: “Quanto vorrei che voi mi sentiste parlare italiano. La mia personalità è diversa se mi so esprimere al cento per cento”.

La cosa fondamentale è il fatto che io all’estero possa lavorare e venga riconosciuto in quello che faccio a livello non solo monetario, puramente venale, ma artisticamente. Per giunta, a Londra posso essere quello che sono senza infingimenti, mentre a Sorrento ho l’impressione che ci sia un giudizio nei miei confronti che d’altro canto c’è sempre stato.

A Londra si può andare in giro vestiti da clown, fare una giravolta e urlare che a nessuno interesserà mai.

La città ha un’apertura incommensurabile, uno si volta stringe la mano a qualcuno e ha trovato un essere umano incredibile e questo succede in continuazione, al contrario qui mi sembra che la gente un po’ si eviti o stia sulle sue con le mani nelle tasche, naturalmente non è che a Londra non avvengano queste tipologie di esperienze, ma può verificarsi altresì che ti giri e dici: “È un pianoforte quello? E quella è una chitarra?”. E si instaura un rapporto favoloso.

Pensi che potrebbero nascere delle collaborazioni in Italia?

Ci sono già nell’underground.

Ho contatti con svariati artisti e artiste tra cui Anna Soares, ho lavorato con lei più volte a brani di stampo Progressive o Ambient, ora lei vive al Nord Italia e si sta dedicando a un suo genere, ogni tanto ancora realizzo per lei una copertina o un disco, poi c’è il mio amico Ivan di Don’t Stop Studio con cui ho un bellissimo legame e che non solo mi offre un servizio di mixing e mastering dei miei pezzi, ma per certi versi anche consulenza; facciamo collaborazioni uno a uno in cui io creo una base e lui ci rappa su oppure io eseguo un pezzo strumentale e lui lo remixa. Ivan è una sorta di perno tra me e la cornice che lo circonda, io tramite lui sto raggiungendo nuovi creativi della scena musicale e per l’appunto alcuni giorni fa sono stato a Caserta a incontrare Johnny in arte Matrice con il quale ho composto un pezzo hip-hop e un altro a metà tra l’hip-hop e la trap che uscirà a fine agosto.

Dopo Taiga credo fosse plausibile aspettarsi da me un’altra composizione epica e invece, no, io me ne esco con un brano trap. Tutto è nato un giorno in cui mi sono svegliato e mi sono detto: “Oggi sento questa cosa“ e Johnny dopo averla ascoltata: “La tua base mi emoziona, scriviamo il testo”, detto fatto. È una canzone sull’amore perduto o più precisamente sul cercare di staccarsi dall’amore perduto.

Io sono convinto che mediante la cooperazione con i miei conterranei si generino vere intese, visto che, di nuovo, io l’inglese lo parlo, ma la connessione che posso instaurare, neanche parlando italiano, mettendoci in mezzo, proprio, la parola in dialetto, è fantastica. C’è, è evidente, una sfumatura che altrimenti andrebbe persa e “suona” così: “Mettici un po’ di “squacquaramento” in questa parte” e quello “squacquarea”, effettivamente, davanti al microfono, quindi in verità le mie collaborazioni sono specialmente con persone del panorama artistico italiano.

A cura di Maria Grazia Grilli

https://cataldocappiello.com

https://www.instagram.com/dontstopstudio

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Redazione StreetNews.it
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