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Intervista allo Scrittore Nicola Forte

VIAGGIANDO TRA I CAFFE’ NAPOLETANI CON LO STORICO SCRITTORE DOTT. NICOLA FORTE Il dott. Nicola Forte, storico e scrittore, ci racconta: Napoli, la più parigina delle città italiane. In Italia quest’eredità viene raccolta prima di tutto da Napoli, la più parigina delle città italiane, dove per prima arriverà d’Oltralpe la moda del Caffè chantant, presto assurta a simbolo della Belle Époque. Ben presto, però, Napoli vanterà una sua autonoma invenzione: il “Caffè concerto ” con un numero che sarà il prototipo del moderno spogliarello! Entrambe le invenzioni hanno lo stesso padre, Luigi Stellato , che in collaborazione col musicista Francesco Melber fu autore della celebre canzone ’A cammesella’ , un duetto tra una coppia di sposini, in cui lui invita lei a denudarsi per mostrare le sue grazie. In poco tempo i “ Caffè concerto ”, tra i quali gli eleganti “ Strasburgo”, “Birreria Monaco”, “Vermouth di Torino”, il “Gambrinus” e il “Caffè Turco”, spuntano come i funghi. In una decina d’anni Napoli poteva vantare locali come il “ Circo del Varietà”, il “Salone Margherita”, l’“Eden”, l’“Eldorado”, teatri che ospitarono le maggiori “chantose” della Belle Époque, divenendo luogo preferito per il lancio delle nuove canzoni. Ma il Caffè storico più famoso di Napoli doveva diventare il “Gambrinus” che aprì i battenti nel 1890 e col tempo arrivò a rappresentare il principale luogo di convegno di Napoli. Le sue sale, impreziosite da dipinti, marmi, stucchi, divennero una piccola galleria d’arte illuminata ben presto dall’energia elettrica. Le sale del “Gambrinus” hanno visto passare tutti gli intellettuali e gli artisti della Napoli otto-novecentesca tra cui Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Benedetto Croce, Eduardo De Filippo ed Enrico De Nicola. Diretto concorrente del “Gambrinus” fu il “Caffè Turco ”, aperto nel 1885, in cui si organizzavano intrattenimenti musicali durante i quali il proprietario, vestito alla turca con un fez rosso in testa, era solito sorvegliare che tutto procedesse per il meglio. Non ci volle molto perché il caffè diventasse la bevanda cittadina. Anzi quello napoletano divenne presto il caffè per antonomasia! Esso incarnò così bene lo spirito napoletano che fu anche oggetto di celebri canzoni popolari: da A tazz è cafè, in cui la tazzina di caffè – sotto dolce (per lo zucchero che vi si deposita) e sopra amara (prima di girare col cucchiaino) – viene paragonata, in un confronto volutamente a doppio senso, alla donna da conquistare. A Napoli il caffè diventerà un vero e proprio rito, una cerimonia come quella del tè in Giappone; una cerimonia con i suoi tempi, i suoi ritmi, il suo officiante, i suoi strumenti “liturgici” e – perché no? – i suoi trucchi per riuscire meglio. Insomma la manifestazione di una vera e propria scuola di pensiero. Chi nell’immaginario comune sintetizza al meglio la filosofia partenopea del caffè è senz’altro Eduardo De Filippo , che nel suo Questi fantasmi la immortalò in un memorabile monologo. Ma il più celebre contributo partenopeo alla cultura del caffè in Italia è senza dubbio la “napoletana”, che fu la caffettiera più diffusa fin quando, nel 1933, la mente creativa dell’ingegnere milanese Alfonso Bialetti non partorì la prima Moka Express dai chiari tratti Art Decò . Il proverbiale senso di umanità e l’ospitale cordialità dei napoletani hanno lasciato tracce nella loro cultura del caffè.? Fu infatti nei bar di Napoli che vide la luce quello che può essere ritenuto il tipo più “buono” di caffè: il “sospeso”, ossia un espresso non consumato da chi lo paga (consumazione “sospesa”, appunto) ma destinato a qualche avventore meno abbiente di passaggio, un piccolo-grande segno di solidarietà sociale. La Galleria Umberto I e più celebri Cafè-Chantant di Napoli Per essere il più possibile simili alle colleghe d’oltralpe, le indigene adottavano nomi d’arte francesizzanti e gli autori di canzoni ironizzavano volentieri su questa moda. Nacquero così “ A frangesa” di Mario Costa nel 1894, “Lily Kangy” del 1905 (la macchietta di successo di Nicola Maldacea) e infine la famosa “Ninì Tirabusciò ”, un nome ed un cognome certo più eleganti di Nina Cavatappi. Questa leggendaria figura fu creata nel 1911 da Califano e Gambardella e negli anni Sessanta il ritornello, che fu il cavallo di battaglia di Gennaro Pasquariello, venne rilanciato in televisione e al cinema da Monica Vitti in veste di sciantosa. In epoca più vicina a noi le gustose tiritere di Ninì Tirabusciò sono state rivisitate da Mirna Doris, autentica vedette dell’avanspettacolo, dalla dosata ironia e dal gustoso piglio popolaresco. Il successo del cinema fu tale che anche il mitico Salone Margherita fu costretto ad inserire, all’interno della programmazione serale, alcuni minuti di proiezione di un film. Ringraziamo il dott. Nicola Forte per suoi racconti

(Articolo a cura di ANTONELLA DE NOVELLIS)?

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Redazione StreetNews.it
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