Il commosso ricordo dell’appassionata ricercatrice, spirito raro, poetico e sensibile, rivive attraverso le parole di amici e colleghi.
Pochi giorni fa avrebbe compiuto 44 anni. Arianna Sacerdoti mi fu presentata nel 2006, poco prima che iniziassero i corsi della Scuola di Specializzazione all’Insegnamento a cui entrambi eravamo iscritti. La prima sensazione fu quella di relazionarmi ad una ragazza solare e gioiosa, dotata di spontanea semplicità e animata da una naturale envie de vivre, qualità quest’ultima che nel corso del tempo si è progressivamente affievolita, senza però dissiparsi mai del tutto. Studiosa appassionata di letteratura latina e, nei primi anni della sua ricerca, in particolare di Stazio, in tutti i lunghi anni della nostra amicizia ci comunicava puntualmente e con entusiasmo le sue pubblicazioni, ci dava contezza dei suoi studi e dei progetti a cui partecipava o che intendeva promuovere, fors’anche perché venisse meglio apprezzata la sua bravura e la sua originalità – lei che, sulla sua strada, nel tentativo di “svecchiare” e di promuovere sentieri diversi, si imbatteva in non poche resistenze. Resistenze che spesso la tormentavano, la inducevano a interrogarsi se avesse fatto di volta in volta la scelta giusta o meno. Nel periodo forse più radioso della nostra amicizia, quello del biennio della specializzazione di cui sopra, insieme ai colleghi Silvia, Fiorella, Pasquale e Valentina, costituivamo un gruppo di lavoro abbastanza affiatato (che battezzammo B52, un po’ per celia, con allusione ad un cocktail allora molto in voga, un po’ con riferimento alla classe di concorso A052, quella afferente all’insegnamento delle discipline classiche, oggi divenuta A013). In quel periodo abbiamo avuto modo di confrontarci quotidianamente. Sempre in primo piano emergeva il suo desiderio di proporre, di “condividere”, sul piano intellettuale ma soprattutto su quello emozionale, le sue intuizioni, desiderio che veniva rilanciato anche in incontri conviviali extra-scolastici o extra-universitari, destinati purtroppo a diradarsi nel tempo, cosa di cui peraltro mi sento in parte colpevole. Nell’intento di contribuire a mantenere sempre vivo il ricordo dello spirito sensibile di una artista a tutto tondo, che si è scontrata con le gioie e i dolori del palco della vita, ho deciso di chiamare in causa alcuni colleghi con i quali si è annodata parte del suo percorso di vita, affinché costoro, immergendosi nelle pieghe della memoria, contribuiscano a far emergere, a più voci, ancorché, inevitabilmente, in modo parziale, una immagine vibrante di Arianna, in grado forse di emozionare non soltanto chi abbia avuto la fortuna di conoscerla.
Pasquale Barbato (docente di latino e greco). Arianna. Uno sguardo profondo desideroso di divorare la vita che spesso scrutava attraverso i suoi occhiali; una mano che accarezzava l’altra, quasi come bisogno di protezione, di affetto anche carnale; una cascata di riccioli scomposti e ribelli e al tempo stesso disciplinati, quasi a imitare la sua natura dimidiata tra sregolatezza e necessità di ordine; la continua progettazione di lavori, di ricerche, abbozzi di poesie, di haiku, di pagine di probabili romanzi; una casa con tavoli pieni di libri, appunti, dispense, stanze di quadri, di tele, passioni, ricordi di famiglia; una voce suadente e calda, desiderio di conoscere, di ascoltare, di piacere, di essere… tanta solidità che nascondeva una fragile delicatezza… queste sono le immagini che mi vengono in mente quando penso ad Arianna. La immagino ancora progettare, pensare, sognare.
Fiorella Caccavale (docente di latino e greco). Cara Arianna, il primo ricordo che ho di te risale al primo anno dell’università. Io ero una giovane matricola spaventata e disorientata e tu, che eri solo al secondo anno, mi sembravi risiedere nell’Olimpo dei veterani, perché avevi già dato gli esami del primo anno (pensa te…). Io e le mie vecchie compagne di scuola, tutte iscritte a Lettere, eravamo lì a ciondolare davanti all’ingresso della Facoltà, su quegli antichi muretti dove tanti giorni di studi avremmo trascorso insieme. Parlavamo intimorite delle difficoltà che ci attendevano quando arrivasti tu. Avesti parole di conforto e di incoraggiamento per noi: «Non vi preoccupate. Voi siete brave. Vedrete: andrà tutto bene». Poi te ne andasti via girandoti sotto il portone a salutarci con quel tuo grande e luminoso sorriso infantile. «Chi era?», chiesi alle mie amiche. E loro: «Come? Non l’hai riconosciuta? È Arianna, la sorella di Carlo». «Ah, è vero!». Ed è così che io ti ricordo, espansiva, originale, anticonformista. Refrattaria alle convenzioni di questa vita. E ora dimori qui, nel paradiso dei ricordi di gioventù. Dove non c’è né morte né dolore, solo calore e luce. A presto. Fiorella.
Vincenzo Caputo (docente universitario di letteratura italiana). 1. Il primo incontro. La tensione era altissima. Sarà stato grossomodo il settembre del 2003. Insieme a poche ragazze e ragazzi ‘freschi’ di laurea, mi ritrovai nel corridoio che dava verso la porta dello studio di Alberto Varvaro. L’orale per l’ammissione al dottorato – lo ricordo ancora oggi – fu emotivamente massacrante. Per gestire l’ansia, di solito cammino, passeggio, gironzolo. Attraversai infatti a piedi il breve corridoio, andando avanti e indietro moltissime volte, fino a stancarmi. E poi, in attesa del mio turno, mi presentai a quella che per me sarebbe stata poi negli anni successivi la mia amica Arianna. Aveva questi ricci chiari, voluminosi, che accompagnavano e rafforzavano uno sguardo luminoso. E aveva un sorriso coinvolgente. Mi accorgo – nel momento in cui provo per la prima volta a mettere per iscritto il nostro ‘primo incontro’ – che quella fiamma vitale, potentissima, nel tempo si sarebbe lentamente sopita, addomesticata, ammansita. 2. Arianna. «Mi chiamo Arianna», disse. Fu la prima volta che sentii associare quel nome, dal sapore di antica mitologia, a una persona in carne e ossa. Non credo di aver confessato questa mia mancanza, ma ricordo nitidamente che mi uscì fuori qualcosa del tipo «è un nome bellissimo». Un lapsus. Volevo non si capisse che io potessi trovare strano quel nome e quindi, per eccesso, pronunciai una frase che doveva dimostrare io lo trovassi esageratamente bello. Chiacchierammo un po’, prima che arrivasse il mio turno. Mi raccontò della sua laurea in Letteratura latina su Gellio; mi raccontò anche, però, che scriveva poesie (del pianoforte e della pittura avrei saputo dopo). Ascoltando le sue parole, ebbi come la sensazione che lei fosse nata per stare lì in quel momento, in quel posto. Che la discussione orale per l’ingresso nel prestigioso dottorato dell’allora Scuola Superiore di Alta Formazione fosse una tappa inevitabile della sua curiosità e della sua bravura (sarebbe poi diventata giovanissima ricercatrice di Letteratura latina alla Vanvitelli). È una sensazione che provai anche quando andai per la prima volta a casa sua, quella dei genitori. Davanti ai miei occhi si spalancò uno spettacolo incredibile. Pile di libri, scansie di volumi, mucchi di appunti: ovunque. Una vertigine. Bozze, estratti, schede (e quadri, tanti quadri dell’amato padre). Mi sentivo inadeguato. Piccolissimo, mi avvicinavo. Mi incuriosivano alcuni titoli; incrociavo dati; leggiucchiavo. Spessissimo a tavola nascevano chiacchierate e discussioni con la madre, che non riuscivo a non chiamare «professoressa». Il tempo ci ha poi avvicinato molto (per anni siamo stati ‘quasi parenti’). E questa vicinanza di lungo corso mi ha fatto comprendere – ma è consapevolezza amara di questi anni maturi – quanto tutti quei libri, che io invidiavo, potessero essere un peso enorme. Quanto potesse essere opprimente chiamarsi come la principessa di Creta, dominatrice astuta del Minotauro, quando più semplicemente si vuole soltanto essere sé stessi: Nemmeno quando mi hai scomposto i sensi / Padreterno assolato / Ho rotto il firmamento. / Resilienza, cambiato / È lo spazio col tempo [A. Sacerdoti, Diario (2004-2020), Napoli, Homo Scrivens, 2021, p. 135]. 3. Libri. La notizia della morte di Arianna mi è arrivata improvvisa. Ancora oggi, mesi dopo, mi sembra non sia possibile. Non riesco a pensarci. Mi viene da piangere. L’ultima volta che l’ho vista con calma è stata proprio nella casa che era stata dei suoi genitori. Andava liberata. Mi disse che volentieri sia lui che il fratello avrebbero voluto che i libri, appartenuti un tempo al padre e alla madre, rivivessero attraverso chi li avrebbe davvero letti e se ne sarebbe preso cura. Insomma potevo andare con lei e prendere i volumi che potevano interessarmi e che magari sarebbero potuti servire alle mie ricerche. Era un atto d’amore nei confronti dei genitori e un’ennesima testimonianza di quanto fosse ancora forte la nostra amicizia. Con lei e pochi altri intimi suoi sodali, sono quindi rientrato dopo anni in quella casa per me un tempo – quello verde degli anni dottorali – luogo di chiassose chiacchierate (e feste). Dominava ora un silenzio spaventoso, irreale. Ma c’erano ancora libri ovunque, in ogni dove. Ora però stavano lì – come un’istantanea – a fissare nel momento del silenzio la vita vera di un tempo passato. Arianna mi guardò – fu un attimo: «Questo è tutto quello che mi resta». Di Arianna a me resta impresso ora un messaggio WhatsApp. È il 18 dicembre del 2022 e mi scrive «Buongiorno». Sarebbe morta, a quarantatré anni, una decina di giorni dopo. E io – non me lo perdonerò mai – a quel messaggio non ho mai risposto.
Silvia Contaldi (docente di latino e greco). Ho conosciuto Arianna nel 2006, durante la nostra prima lezione alla SICSI. Eravamo tutti un po’ spaesati per questa nuova, grande esperienza. Mi trovavo con la mia amica Fiorella, che già conosceva Arianna: lei si avvicinò, si presentò e si mise a sedere accanto a noi. Chiacchierammo, poi iniziò la lezione di greco. Al ritorno, prendemmo insieme la metropolitana, continuando a confrontarci sulle nostre aspettative e speranze rispetto a quel percorso. Arianna, all’atto di scendere alla fermata di piazza Vanvitelli, mi sorrise, mi diede una pacca sulla spalla e disse: «Dai, ci facciamo un bel pezzo di strada insieme!». Quel pezzo di strada è stato lungo, molto più del tempo della SICSI, fatto di gioie, traguardi, risate, spensieratezza come pure di delusioni, momenti bui, lontananza. In questo lungo pezzo di strada abbiamo camminato insieme ma ci siamo anche un po’ perse di vista. In questo lungo pezzo di strada avrei voluto poter fare di più. Ora restano i tanti ricordi dei momenti passati insieme e la speranza che la nuova strada che percorri, cara Arianna, possa regalarti tutto ciò che questo mondo ti ha negato.
Grazia Pettrone (docente di lettere e ultima allieva di Arianna). Fin dal primo incontro, Arianna è stata per me una presenza travolgente: la mia vita di studentessa e di donna è contrassegnata dai passi condivisi con lei. Durante le primissime lezioni, tenutesi nella primavera del 2011, leggevamo Lucrezio e Marziale, percependone la viva presenza in mezzo a noi. Largo spazio era dato al rigore della metrica e della grammatica latine, che “affiancavano” la profondità del nostro sentire. Quell’antico universo scoperto da sua nonna Carolina e di cui Arianna «aveva fatto il suo cielo», come narra in una poesia contenuta in Sentieri diversi, diventava accessibile a chiunque avesse voluto prenderne parte con sensibilità e dedizione. Ho riconosciuto in lei una mentore saggia e fidata, il suo impegno nei miei confronti è stato sempre onesto, non privo di critiche costruttive o di intransigenza, ma allo stesso tempo appassionato e confidente. Le sono grata per avermi indirizzata allo studio del latino presso l’Institutum Classicum di Helsinki, un’esperienza pregevole per l’arricchimento della mia formazione culturale e tanto illuminante da insegnarmi a guardare il mondo con occhi sempre nuovi, oltre ogni limite. Il ricordo più soave che mi lega ad Arianna risale certamente ai giorni condivisi nella capitale finlandese. Giorni scanditi da studio e lezioni, esplorazioni cittadine e gite fuori porta, durante i quali, a Soumenlinna, ho scoperto una donna amante della natura selvaggia e incontaminata, tra risate e leggerezza. Dalla condivisione delle giornate di studio, nell’autunno del 2015, in fase di preparazione della tesi di laurea magistrale, è nata la tenera poesia Sorelle, pubblicata all’interno del libro Diario, i cui versi raccontano di «sorelle di tutte le età», di quelle donne che rappresentavano per Arianna, in quel periodo, il sesso forte; poesia in cui anche io vengo citata. Arianna, maestra di poesia, mi ha introdotto nel mondo della tecnica e della filosofia dell’haiku, suo strumento privilegiato per esprimere ciò che sentiva, destinato, negli anni successivi, a diventare anche il mio strumento: strumento per cogliere il reale e trasmetterne l’essenza in poche sillabe, per trasformare ciò che sento in materia, in parole. Conservo il vivido ricordo di un’anima pura, che mi ha regalato sogni e passioni. Un’anima amica con cui ho condiviso i segreti e il peso del cuore.
A cura di Massimiliano Longobardo
Il gruppo B52, dopo essersi “sciolto” per varie vicissitudini, poco dopo la scomparsa di Arianna, in modo prodigiosamente spontaneo, si è nuovamente ricomposto. Per l’intervista ad Arianna, risalente al 29 dicembre 2020, clicca qui: https://www.streetnews.it/scrivere-haiku-in-lingua-latina-la-sfida-di-arianna-sacerdoti/