Fabio Magnasciutti io lo desidererei tascabile!
Vorrei che mi fornisse cuori a volontà, in eterno, come soltanto lui sa fare, ma per ora mi accontento di Facebook, dove appena ne “sforna” uno io lo condivido.
L’ho definito: il genio del cuore. In tutti i sensi però. Sì per i cuori che disegna e per il cuore che mette nel disegno, nella parola o nella frase che nasce dalla sua mente creativa e accompagna la sua matita magica.
Attenzione, tutto, e non solo i cuori, è strabiliante. Chi volesse negarlo si faccia avanti o taccia per sempre. E vissero felici e contenti: Fabio, i cuori, le parole, la matita e tutto il resto appresso.
Fabio Magnasciutti è illustratore, insegnante, musicista, autore e vignettista.
Ha collaborato con la Repubblica, l’Unità, il Fatto Quotidiano, gli Altri, Linus e Left, disegnando copertine e vignette.
Ha curato le sigle e le animazioni dei programmi: “Che tempo che fa” e “Pane quotidiano” su Rai3.
Ha realizzato illustrazioni per “Anno zero” e “Servizio pubblico”.
Nel 2015 ha ricevuto il premio come miglior vignettista presso il Museo della satira di Forte dei Marmi.
Insegna illustrazione editoriale allo IED di Roma.
Nel 2005 ha fondato la scuola di illustrazione “Officina B5”.
In più nel 1993 ha dato vita alla band “Her Pillow”, voce e armonica.
Infine vogliamo parlare del suo sito? Che ha come prima pagina un citofono; lo sbalorditivo e inconfondibile volto della genialità.
Sono cresciuta a pane e tante cose, una delle quali è: “Più sono grandi e più sono umili”. Così recita la saggezza popolare e così confermo: Fabio Magnasciutti è un grande!
A questo punto non resta che scoprire se in lui ci sia la consapevolezza della sua potenza e a che livello ne abbia contezza oppure no.
Fabio, sei consapevole del tuo potere evocativo?
È un problema che non mi pongo affatto.
Mi rendo conto che c’è una certa efficacia, questo sì.
Sicuramente non è uno dei motivi per cui faccio quello che faccio, comunque un riscontro a cui posso fare riferimento è la quantità di persone che mi seguono sui social, perciò è chiaro che c’è una risposta positiva da parte di chi mi segue.
Cosa provi nel vedere un tuo disegno o una tua vignetta subito dopo averla realizzata?
Indubbiamente capitano volte in cui sono più soddisfatto di altre.
Normalmente tendo a disfarmene molto velocemente. Non parlo delle illustrazioni che richiedono più tempo, ma le vignette sono quasi sempre dei conati che spingono ed escono fuori; generalmente non le riguardo, se non ogni tanto per controllare che tipo di reazione hanno scatenato. Solitamente tendo a dimenticarle.
Capita abbastanza spesso che qualcuno mi dica: “Ho visto la tua vignetta, quella che hai fatto l’altro ieri”, e io rispondo: “Quale?”. Non Ricordo, perché nella maggior parte dei casi sono urgenze e le liquido nel minor tempo possibile; semplicemente non mi soffermo, raramente può verificarsi quell’attimo in più dove mi accorgo di aver fatto qualcosa di migliore. Ogni tanto ho un’esclamazione di meraviglia.
Cos’è per te l’ispirazione?
In realtà, tutto. Qualsiasi cosa.
Lo dico spesso ai miei studenti di lasciarsi incuriosire anche dalle cose più apparentemente banali, poiché tutte possono raccontare delle storie, basta essere pronti/e a interrogarle. Faccio di continuo l’esempio della foglia, dato che io la disegno frequentemente; è uno degli oggetti a cui sono più affezionato, venendo da una famiglia di contadini, mi appartiene in modo speciale e la trovo straordinariamente evocativa: quella foglia in particolare tra mille mi interessa più di tutte e non so per quale motivo ho intercettato proprio quella, chissà come mai. Mi interrogo sul perché ci troviamo faccia a faccia in quel momento: da dove viene, cosa posso aver visto, dove andrà. La fine poi è nota a ognuno di noi.
Tutto ciò che ci circonda può essere fonte di ispirazione, essenzialmente, perché viene da qualcosa di molto più complesso di quello che noi stiamo osservando in quell’istante. È stata mossa da chissà cosa, la foglia intendo dire, ma anche il libro che sto guardando, oltre il telefono che ho davanti, una volta era un albero, poi c’è stata una catena di eventi che sono accaduti e l’hanno fatto diventare l’oggetto che non è solamente il contenuto del libro stesso, ma proprio l’oggetto: il parallelepipedo che vedo e che viene chissà da quante mani, quante menti, quanti sforzi e così via.
Non c’è nulla che nasca dal nulla, siamo tutti nomadi, ogni oggetto ha una storia, ed è interessante conoscerla; certamente l’oggetto non risponderà mai, sta a noi, probabilmente, darci anche le risposte alle domande che poniamo agli oggetti che ci circondano.
Trovo che tutto sia assolutamente degno di attenzione e quindi fonte d’ispirazione.
C’è musica e poesia in tutto quello che fai o questo privilegio ce l’hanno esclusivamente le tue vignette?
Provo un amore grande nella stessa misura.
Di sicuro la musica mi accompagna continuamente, di certo non è una fonte di reddito, almeno non la principale, ma senza alcun dubbio non posso farne a meno, sia dell’ascolto che della realizzazione, mi riferisco proprio al cantare, suonare, comporre; quindi c’è musica persino quando non l’ascolto.
Se sia in me o se sia fuori di me, fatto sta che si concretizza e diventa qualcosa.
La poesia è un discorso ancora più etereo, più ampio; essendo anche un lettore e un amante della poesia, immagino che in qualche modo mi attraversi, decisamente ho i miei autori preferiti.
La tua passione per il cuore come nasce?
Intanto è semplice da rappresentare e molto comodo.
Ha un colore particolarmente vistoso, dunque ha un potere evocativo, ed è soprattutto un simbolo universalmente riconosciuto; comunica quello che deve comunicare, poi ovviamente cambia a seconda dell’interlocutore che ha.
Veicola messaggi che evidentemente stimo molto.
Non solo fa rima con amore, ma è una delle rappresentazioni dell’amore.
Mai sarcasmo sempre ironia? Giusto?
Il sarcasmo sa più di vendetta che altro, non costruisce molto, dopodiché può darsi pure che ne abbia fatto inconsapevolmente, non è che io mi ponga dei limiti o delle regole.
Se l’ho fatto, l’ho fatto senza l’intenzione di ferire.
Ferire tanto per ferire non mi interessa; ho un’indole nettamente non violenta da qualsiasi punto di vista la si guardi.
Detesto la violenza in quanto tale, visto che addirittura quella verbale può far male, parecchio male.
In genere non faccio uso del sarcasmo, poi dipende dalle circostanze, è chiaro che in alcuni contesti come tra amici dove si sa esattamente cosa ci si può permettere, conoscendo le persone che si hanno davanti, è possibile utilizzare un sarcasmo che venga percepito nel senso più generico del termine, sapendo che non c’è nessuna volontà di ferire.
Le tue vignette hanno molto a che fare con la politica, mi sbaglio?
In qualche modo sì.
Un tempo molto di più, innanzitutto quando collaboravo con il Fatto Quotidiano o l’Unità, che trattano temi prettamente politici, avevo a che fare con argomenti molto più inerenti alla politica.
Non amo la satira politica nel senso stretto del termine. Non mi piace rappresentare personaggi e fare caricature, anzi non mi interessa neanche vederle, non gradisco il genere caricatura, dato che poi finisce nello sberleffo fisico ed è una cosa che mi ripugna.
La mia “satira” forse è più corretto chiamarla satira di costume, nel senso che tratto temi universali; quasi sempre si parla di amore, di morte, anche grazie, immagino, alle mie preferenze letterarie; vado verso un certo tipo di romanticismo, ma comunque pure lì c’è politica. Ovunque, in qualsiasi cosa c’è politica, non necessariamente solo nelle stanze del potere.
Un gesto politico è anche non buttare una cicca per terra e lo dico da fumatore.
Cosa fai quando non delizi con le tue opere d’arte chi ama il tuo lavoro?
Faccio più o meno quello che fanno tutti, anche se poi mi trovo quasi sempre a pensare a cosa disegnare, mi rendo perfettamente conto che è un tarlo costante, per il resto non so: esco, vedo gli amici, sto con i miei familiari.
Viaggi?
Devo dire, molto poco.
Viaggio per lavoro, le occasioni di viaggio sono legate a mostre e presentazioni.
In Italia giro circa una dozzina di regioni all’anno e per me è un bel modo di viaggiare.
Non ho mai avuto l’indole del turista, è una cosa che ho sempre detestato per essere sinceri, dopo due o tre giorni in un luogo senza lavorare mi sento un intruso e voglio andare via; mi sembra di stare allo zoo, non sono il tipo da macchina fotografica al collo.
Viaggiare per lavoro con uno scopo ben preciso lo preferisco per me è il modo migliore di viaggiare.
A cura di Maria Grazia Grilli
Foto di Emiliano Narcisi