Sabato, 30 settembre, a Sorrento, presso la Cattedrale, è stato celebrato il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani.
Don Milani è la vita che si dipana generosamente ovunque, persino nel posto più sperduto, e dove l’analfabetismo impera.
Sì, sarà pure morto, ma la sua essenza, la sua immensa saggezza, il suo coraggio, la sua bontà, sono ancora qui nei ricordi di molte persone e nelle opere che ha lasciato.
Don Milani ha dato vita alla scuola, e al senso che essa dovrebbe avere, per eccellenza.
Diceva: “La scuola resta tagliata su misura dei ricchi, di quelli che la cultura l’hanno in casa e vanno a scuola solo per mieter diplomi”.
Una delle materie fondamentali a Barbiana era l’educazione civica e tanta conoscenza della Costituzione, delle leggi, delle organizzazioni politiche e sindacali. Non so se è chiaro? Un rivoluzionario Don Milani.
Si studiava italiano, inglese, francese, tedesco, e finanche arabo, in quel luogo fuori dal mondo.
Un uomo mandato in esilio che trasforma in modo inimmaginabile la terra dove cammina.
Innovativo, straordinario conoscitore dell’animo umano.
Lui e Dio paiono molto uniti nell’impresa della scuola di Barbiana, e non solo, il loro rapporto è intenso e decisamente non gerarchico. E per chi non credesse in Dio potremmo certamente dire che Don Milani e la Luce hanno illuminato, insieme, un pezzetto del pianeta. Sicuramente, perché gliene importava. “I Care”.
Dodici anni di amore, dedizione e cultura, poiché a quarantaquattro anni Don Milani muore.
È stato un pacifista coraggioso, tanto da scrivere una lettera aperta ai cappellani militari in difesa dell’obiezione di coscienza per la quale fu rinviato a giudizio con l’accusa di apologia di reato, assolto in primo grado e condannato in appello.
L’amore e la poesia scorrono copiose in “Lettera a una professoressa”, dove peraltro cita l’articolo 3 della Costituzione come fosse un baluardo.
Parlando del libro, Pasolini disse: “È un libro veramente bello! Che riguarda, sì, la scuola, come argomento specifico, ma nella realtà riguarda la società, la qualità di vita, italiana. Leggendo il libro la vitalità aumenta in modo vertiginoso, è scritto con grande grazia, precisione, e grande spirito; fa ridere quasi come un libro umoristico, si ride da soli e, immediatamente, dopo il riso viene un groppo alla gola, le lacrime agli occhi, tanta è la verità del problema che si pone: il problema della scuola italiana”.
Durante la celebrazione, il parroco, Don Carmine ci ha accolto nella Cattedrale per omaggiare Don Lorenzo Milani.
Non so se Don Carmine quando ha creato lo spazio aggregativo per persone con disabilità, all’interno della Cattedrale, abbia pensato a Don Milani. O quando, insieme agli altri parroci, in tempo di pandemia ha difeso i diritti dei lavoratori in difficoltà. Chissà. Sembrerebbe avere un comportamento molto vicino a quello di Don Milani; lui, Don Carmine, è molto riservato e, senza dubbio, direbbe: “Ma quando mai, non scherziamo”.
Infatti non scherzo se affermo che Don Milani andrebbe citato, o meglio, raccontato in ogni luogo: nelle scuole, nel mondo del lavoro, in famiglia, ma soprattutto e specialmente, perché no, alla Camera e al Senato, in modo da farne un esempio da seguire, su vari argomenti che attanagliano le nostre vite. Don Milani è non soltanto un essere umano, ma un percorso di vita speso a migliorare la società. Don Milani è immortale.
A celebrare Don Milani è intervenuta Rosy Bindi, “Presidente comitato del centenario della nascita di Don Lorenzo Milani”, e l’arcivescovo della diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, monsignor Francesco Alfano, oltre che Don Carmine naturalmente.
L’apertura è affidata a Don Carmine che ci legge una lettera di Don Milani a Don Ezio Palombo, molto forte e avvincente.
Eccola: “Barbiana, 25.3.1955
Caro Ezio,
ricevo ora la tua di quattro pagine. Fammi sapere però egualmente se hai avuto quella della nonna.
Non so cosa dirti del ping-pong. Io son sicuro che se lo spezzi nel mezzo e se in conseguenza di ciò non avrai più nessun ragazzo d’intorno non morrà nessuno. Avrai più tempo per pensare, più silenzio, e in più pian piano andrai costruendo quell’immagine di prete più vera e degna di te che coll’andare del tempo attirerà col suo valore intrinseco molto più i ragazzi che il ping-pong. L’immagine di quel vero prete che sei già e che non devi mascherare da giocoliere ne abbassare per avvicinare chi è in basso. Chi è in basso (cioè che cerca disperatamente dei sistemi per buttare via il tempo) deve vederti in alto, magari per qualche anno odiarti e disprezzarti e fuggirti e poi se Dio gli dà grazia pian piano cominciare a invidiarti, imitarti, superarti. «Ponete in alto il cuore vostro e fate che sia come fiaccola che arda». lo penso che su questo punto non bisogna aver pietà, di nessuno. La mira altissima, addirittura disumana (perfetti come il Padre!) e la pietà, la mansuetudine, i compromessi paterni, la tolleranza illimitata solo per chi è caduto e se ne rende conto e chiede perdono e vuol riprovare da capo a porre la mira altissima. Ma un tavolo da ping-pong è un monumento sempre presente di mira modesta e squalifica la tua dignità di sacerdote del Dio Altissimo. Non mi pare che risulti che Gesù andasse a cercare i peccatori tanto quanto che erano loro a cercarlo. E se quest’ultima affermazione non fosse vera, diciamo almeno che se anche lì ha cercati c’è riuscito poco dato che quando morì l’avevano abbandonato tutti. Eppure se li avesse voluti poteva far comparire ben altro che un ping-pong per attrarli! Quando fu morto e ben fallito i milioni di uomini che lo hanno cercato e trovato non lo hanno fatto perché lui e la sua croce e la sua legge fossero molto attraenti, ma perché erano loro che si sentivano vuoti e disperati e bisognosi di lui.
Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza.
Star sui coglioni a tutti come sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi antipatici noiosi odiosi insopportabili a tutti quelli che non vogliono aprire gli occhi sulla luce. E splendenti e attraenti solo per quelli che hanno Grazia sufficiente da gustare altri valori che non siano quelli del mondo.
La gente viene a Dio solo se Dio ce la chiama. E se invece che Dio la chiama il prete (cioè l’uomo, il simpatico, il ping-pong) allora la gente viene all’uomo e non trova Dio.
Ma io tutte queste cose ti ho già detto a sazietà e dimostrato coi fatti alla mano e son riuscito a attirare gente io che sono in grazia di Dio una volta sì e dieci no… e tu ti sgomenti che stai in grazia di Dio dalla mattina alla sera? Sei tanto bischero!
Un abbraccio affettuoso e scrivi spesso, tuo
Lorenzo.”
Subito dopo le parole di Rosy Bindi sono intense e appassionate. Ha toccato vari temi: la scuola, le istituzioni, la cultura, la Costituzione, la politica e la famiglia, dimostrando, con logica attenta, l’attualità del pensiero e delle opere di Don Milani.
Ha invitato a leggerlo e ad ascoltarlo ora, nel presente, leggendolo, ha detto, possiamo comprendere cosa dobbiamo fare rispetto alle sfide del nostro tempo.
Ha ricordato che Don Milani sapeva, era consapevole, di non essere simpatico, visto che non le mandava a dire, tant’è vero che nel ricchissimo epistolario che ci ha lasciato ce n’è per tutti: preti, insegnanti, politici, ecc. ecc.
Rosy Bindi è stata molto generosa nel suo intervento, regalando agli ascoltatori il cuore di Don Milani.
A proposito del cuore di Don Milani, amo ricordare due frasi che, a mio parere, parlano chiaro: “Elevare l’umano, perché incontri il divino”. E ancora: “L’obbedienza non è una virtù. Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora io dirò che, nel vostro senso, non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.
Infine c’è stata la possibilità di porre a Rosy Bindi alcune domande, alle quali lei ha risposto, dal suo punto di vista, chiaramente in linea con il pensiero di Don Milani.
In chiusura, l’arcivescovo Francesco Alfano con ironia ha sottolineato come l’incontro ci abbia scaldato il cuore nonostante la brezza. Sì, eravamo nello spazio all’aperto della Cattedrale.
Salutandoci, l’arcivescovo ha ringraziato Rosy Bindi per la sua testimonianza che ci ha costretti a riflettere sulla società, la scuola, la famiglia e molto altro; un pezzo di storia politica e culturale dei nostri tempi.
A cura di Maria Grazia Grilli
Immagine riservata
Immagine Fondazione Don Lorenzo Milani