La svedese surclassa gli avversari; Kaarija, Finlandia, secondo, Israele terza con Kirel.
Nel 2022 gli ucraini Kalush avevano conquistato il Pala Alpitour di Torino e l’Europa intera, spinti, oltre al bellissimo brano “Stefania”, dall’ondata emotiva scatenata dal pubblico dell’Eurovision. Il motto della edizione numero 67 è “United by music” e tutte le clip di presentazione degli artisti sono introdotte dalle immagini della nazione esteuropea martoriata da una guerra che ormai dura da troppo tempo. Motivo per il quale l’Ucraina è stata considerata non idonea ad ospitare il contest. Lo scenario pertanto diventa la Liverpool Arena dei vicecampioni. Sul podio ‘22, infatti, Sam Ryder aveva conquistato la seconda posizione con Space Man, mentre la Spagna, con Chanel Terrero (SloMo) si era classificata terza.
Certamente vince la scenografia, con spettacoli di luce e ledwall colossali, effetti scenici pazzeschi, in UK li definirebbero “terrific”, e una qualità decisamente superiore nelle performance e nelle capacità di ogni singolo partecipante. L’impressione dei più attenti è che, oltre alle melodie e agli arrangiamenti creati ad hoc per le esigenze mainstream, vi sia una imponente presenza di ritmi dance e techno, velatamente pop, un po’ come è successo alla fine degli anni ’80 e questo non è male, decisamente, perché allora nasceva l’epoca della dance. Temi attualissimi e contaminazioni folk, ma non tutte le esibizioni sono in lingua madre; massima attenzione all’outfit e performance di alto profilo. Eurovision è anche questo, da anni, ormai. E poi ci sono i social, che lanciano hype, trend topic, hashtag. Fino a qualche anno fa, in Italia l’interesse verso questo importante contest, il più seguito al mondo, era un po’ calato. Poi con i Maneskin è cambiato tutto: un successo mondiale, quello della band romana, che prosegue a colpi di sold out e dischi di platino, oltre ai 3 miliardi di streaming la sua scalata al successo.
Ma torniamo a #ESC2023.
Sul palcoscenico, abbagliante e ipercolorato, si alternano il fascino berbero di Loreen (Svezia) e quello quasi vichingo del cipriota Lambrou, la vivace ironia di Khaarija alla sensuale voce della francese La Zarra; la potenza è prerogativa del nostrano Marco. I pronostici hanno visto favorita Loreen dall’inizio, mentre Noa Kirel, israeliana, ha guadagnato terreno nella finale. Ed eccoli, i tre nomi in lizza per il prestigioso podio deciso dalla giuria dei 37 paesi partecipanti: Loreen, Kirel, Mengoni. La svedese prende il largo da subito, Noa, seconda, è quasi doppiata e Marco è terzo ad un solo punto. Il televoto, poi, penalizza l’Italia. Con un altissimo punteggio, il finlandese Kaarija con la sua Cha Cha Cha conquista la seconda posizione e Israele si piazza terza. Eurovision si conferma il contest più interessante dell’anno per diversi motivi: attraverso le piattaforme che distribuiscono musica è ancora complicato raggiungere aree che non “dettano legge” nell’universo delle charts; piuttosto raramente le radio passano brani lituani, sloveni, finlandesi e, fattore importantissimo, non è tanto facile trasmettere pezzi fuori dal canone mainstream. L’Industrial metal dei Lord of lost, ad esempio, resta relegato al contesto di nicchia, la meravigliosa chansonne e il flamenco non vanno oltre i propri confini. Una settimana all’anno, invece, scopriamo nomi e brani che andrebbero valorizzati, nell’universo della grande distribuzione.
Prendano atto di questo accorato appello i network che si occupano di musica. E comunque, Tattoo è un brano meraviglioso. #ESC2023, united by music: oltre i confini, oltre il pregiudizio. La musica, semplicemente, funziona.
A cura di Clemente Scafuro