Ermione, opera tragica musicata da Gioachino Rossini su testo di Andrea Leone Tottola, è la prima opera in scena presso la Vitifrigo Arena nell’ambito della 45a edizione del Rossini Opera Festival di Pesaro (repliche 13, 17 e 20 agosto 2024).
Sul podio Michele Mariotti (direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma dal 2022, 36° Premio Abbiati come Miglior direttore d’orchestra) ha diretto l’Orchestra Sinfonica della Rai e un cast che annovera nel ruolo del titolo Anastasia Bartoli (l’anno scorso ha incantato il pubblico in Eduardo e Cristina, in quello di Pirro (re dell’Epiro) il tenore ragusano Enea Scala ed in quello di Oreste Juan Diego Flórez, la star dei teatri internazionali.
Non è un’opera facile da ascoltare: tragica, presaga di tinte cupe (che saranno in seguito tipiche di tante opere romantiche) ma, come ha commentato il M° Mariotti nell’incontro tenutosi con stampa e pubblico,
‘E’ un’opera sbalorditiva, sperimentale, che rompe le strutture musicali classiche, nonostante la vicenda di cui parla derivi dalla classicità, e che rappresenta un unicum nella storia compositiva di Rossini.
Come il Guillaume Tell (ultima fatica lirica di Rossini scritta in Francia), Ermione è un’opera di svolta e non a caso Rossini l’aveva definita il mio piccolo Guillaume Tell italiano. E’ come recitare un testo teatrale: con quelle frasi sfumate e melodie interrotte come la sinfonia d’apertura su cui irrompe il coro, e quel contrasto tra i suoni freddi e violenti che sfumano in momenti dolcissimi dai contorni amorosi, è un’opera moderna, un vero capolavoro’.
Anche la regia, firmata da Johannes Erath, che nel 2024 ha curato altresì l’Otello di Verdi (Opera di Francoforte) e il Faust di Gounod (Opera di Colonia), unitamente a scene e costumi di Heike Scheele e Jorge Jara, ha svolto egregiamente la sua parte.
Interminabili gli applausi finali che il pubblico ha destinato a tutti gli interpreti e al direttore Mariotti, ambasciatore musicale di Pesaro nel mondo.
Occorre tornare indietro nel tempo per immergerci nella trama dell’opera.
Dopo la caduta di Troia, Pirro (re dell’Epiro, uno dei condottieri alessandrini più importanti, tanto che Annibale lo considerò come il più astuto degli strateghi) è tornato a Buthrota (capitale del regno), portandosi dietro alcuni prigionieri troiani, tra cui Andromaca (vedova di Ettore, il più strenuo difensore della città) e suo figlio Astianatte (nell’Iliade il bambino era stato gettato dalle mura cittadine affinché fosse estinta la stirpe di Priamo e sottratta ogni possibilità di vendetta).
Nonostante una promessa di matrimonio lo leghi a Ermione (figlia dell’eroe Menelao, re di Sparta e fratello di Agamennone, re di Micene e capo supremo degli Achei nella guerra di Troia), Pirro si innamora di Andromaca e vuole sposarla: ciò desta la gelosia di Ermione e lo sdegno dei condottieri Achei che temono di veder salire su un trono greco l’ultimo erede dei tanto odiati Troiani.
Respinta e umiliata, pazza di dolore, vinta dal desiderio di vendetta, Ermione sarà l’artefice della tragedia finale.
La storia dell’amore di Pirro per Andromaca era già stata al centro di opere musicali, fra cui quella di Nicola Jommelli (1755) e Antonio Tozzi (1765) ma Tottola (il librettista di Rossini) preferì ispirarsi alla tragedia Andromaque di Jean Racine (1667), a sua volta basata sull’Andromaca di Euripide, rappresentata la prima volta nel 423 a.C. presso il Teatro di Dioniso di Atene.
L’opera debuttò il 27 marzo 1819 al San Carlo di Napoli (dove Rossini vi aveva già rappresentato varie opere tra cui L’Italiana in Algeri e Ricciardo e Zoraide) con Isabel Angelica Colbran (nel ruolo del titolo), Giovanni David (in quello di Oreste), Andrea Nozzari (nella veste di Pirro) e Rosmunda Pisaroni (nell’importante ruolo di Andromaca).
Nonostante il cast di chiarissima fama, Ermione non ottenne il successo ambito e sperato: il pubblico del periodo gradiva poco i finali tragici (basti pensare al lieto fine che il Compositore dovette approntare per l’Otello).
Anche il testo musicale fu ritenuto troppo rivoluzionario: la sinfonia che apre l’opera è per due volte interrotta dal coro che lamenta la caduta di Troia, mentre la gran scena della protagonista non si svolge alla fine (come di consueto) ma a metà del secondo atto.
Sotto il profilo musicale, Ermione era certamente inconsueta ma indubbiamente interessante.
Rossini si discostò dai moduli belcantistici conferendo maggiore continuità e collegamento tra i vari pezzi chiusi (musicalmente autonomi dal resto di una composizione di più ampia portata) quali il secondo duetto fra Ermione e Oreste o la grande scena finale della protagonista.
La funzione del coro divenne parte integrante dell’architettura drammatica dell’opera ed anche alcuni interventi di personaggi minori (l’annuncio dell’arrivo di Oreste) appaiono qui rilevanti.
Rossini introdusse nell’opera altri elementi che svilupperà più tardi nel periodo parigino: il finale tragico al posto di quello lieto, l’uso frequente del declamato e la sostituzione quasi abituale delle arie tripartite con quelle bipartite.
L’opera finì completamente dimenticata dopo le recite napoletane, anche perché il Musicista non la riadattò al gusto francese per il grand-opera, come fece, invece, per Mosé in Egitto (1818) divenuta nella versione francese Moïse et Pharaon (1827),
Preferì, invece, riutilizzare parte della musica per altre opere (Bianca e Falliero, Eduardo e Cristina, Zelmira, Moïse et Pharaon), dato che odiava perdere tempo e aveva un sacro orrore degli sprechi: nulla doveva andare perduto!
La prima ripresa in tempi moderni avvenne in forma di concerto (diretta da Gabriele Ferro) alla Chiesa dell’Annunziata di Siena, seguita (sempre in concerto) nel 1986 all’Auditorium Pollini di Padova, diretta da Claudio Scimone con Cecilia Gasdia, Chris Merritt e Ernesto Palacio.
La prima rappresentazione in forma scenica si svolse nel 1987 al Rossini Opera Festival con un cast eccezionale che annoverava Montserrat Caballé, Marilyn Horne, Rockwell Blake, Chris Merritt (direzione di Gustav Kuhn).
In seguito l’opera fu replicata in Italia, Europa e America, pur non essendo mai entrata nel consueto repertorio.
La più importante e la migliore del Festival (a mio modesto parere).
Paola Cecchini