La storia di Elisabetta Aureli, ex campionessa di nuoto, non può che suscitare grande interesse sotto il profilo umano oltreché sportivo. Arriva in Italia dal Venezuela, dove già era campionessa di categoria, nel 1966, senza avere grandi aspettative. Dopo qualche mese, partecipa ai campionati italiani a Trento, arrivando seconda nei 200 m. dorso e prima nei 100 m., specialità nelle quali fisserà anche dei record nazionali. Uno degli anni migliori per lei è stato senza dubbio il 1968, quando vince le preolimpiche del Messico. Sposa in prime nozze Pietro Boscaini, atleta olimpico che è il primo dei nuotatori italiani a superare il limite dei 55″ nei 100 m. stile. Campione in vasca, Boscaini lo è anche nella vita: stimato da tutti per sportività, gentilezza e disponibilità nell’aiutare i giovani nuotatori, lascia di sé un indelebile e commosso ricordo. Nel 1966, in fase di atterraggio, un aereo con a bordo atleti della nazionale di nuoto, invitati a partecipare ad un meeting, si schianta tragicamente all’aeroporto di Brema. Tra essi non c’è Pietro, escluso dalla convocazione a causa di una provvidenziale otite, che gli consente di vivere altri 7 anni e quindi di conoscere e sposare la Aureli. Tuttavia, a soli 3 mesi dal matrimonio, l’asso del nuoto muore in un fatale incidente, dopo una immersione in apnea. Elisabetta si risposa ed ha due figlie. Dopo la scomparsa del secondo marito, proseguendo il suo percorso di crescita interiore iniziato tempo addietro, approda alla tecnica della meditazione trascendentale, vivendo da allora una fase di maturazione e benessere spirituale. Del suo vissuto personale ha voluto parlarci nella brevissima intervista di seguito riportata.
Domanda d’obbligo: come ha vissuto i recentissimi campionati europei di nuoto? E quali sono secondo lei le future promesse della Nazionale?
Ci siamo emozionati per questi europei, sentendo cantare ripetutamente l’inno nazionale italiano. Ho avuto l’opportunità di assistervi personalmente, incontrando amici di vecchia data come Klaus Dibiasi, Giorgio Cagnotto, Federica Pellegrini, Michele Garufi, Roberto Pangaro. Sono tantissime le promesse del nuoto italiano. Mi entusiasmano soprattutto Thomas Ceccon, dorsista di indubbia classe, Benedetta Pilato e Nicolò Martinenghi. Il futuro è roseo: l’Italia è diventata di fatto un modello per squadre nazionali un tempo considerate inarrivabili.
La sua vita è stata costellata da importanti successi sportivi, ma al contempo segnata da eventi molto dolorosi. Come si è avvicinata alla meditazione?
Si è trattato di una ricerca graduale. Dopo la scomparsa del mio primo marito, a 20 anni, mi sono ritrovata da sola e ho cominciato a pormi domande. Ricordo di aver iniziato a praticare yoga. Mi sono poi risposata e, nel turbinio della vita, ho continuato a leggere e informarmi. Venuto a mancare il mio secondo marito, ho affrontato un periodo difficile, con molti problemi fisici che per fortuna in seguito sono riuscita a superare. Otto anni fa, per puro caso sono entrata in Facebook e ho letto un trafiletto pubblicitario che parlava di una lezione introduttiva alla meditazione trascendentale. È scattato immediatamente qualcosa e ho avuto la sensazione che questa tecnica fosse esattamente quello che stavo cercando. Anche se l’introduttiva non mi ha entusiasmata particolarmente, il mio sesto senso mi suggeriva di imparare la meditazione. Da subito ho riscontrato enormi benefici, anche dal punto di vista fisico. Quel peso che mi opprimeva al petto e quell’ansia frequente sono spariti come per incanto. La mia vita è migliorata nettamente in tutti i sensi. Dopo 2 anni, ho intrapreso un corso avanzato, quelle delle sidhi, a Seelisberg, in Svizzera. Si può dire che da allora ho praticamente messo il turbo, innescando un cambiamento radicale nella mia esistenza.
Ultima domanda. Un aneddoto e un ricordo legati al suo trascorso di nuotatrice che le sono rimasti impressi?
Ero in Venezuela: la mia prima gara, 25 m. stile libero. Avevo appena 10 anni. Mi si avvicinò la sorella di una delle mie avversarie e mi fece: «Se batti mia sorella, ti ammazzo!». L’ho battuta, eppure non mi ha uccisa! Da lì è iniziata la mia carriera, che, nel periodo della cortina di ferro, mi ha portata in giro per tanti paesi, come Russia, Cecoslovacchia, Jugoslavia. Ho avuto l’onore di fare molte trasferte con un delfinista bravissimo, Ladislao Palumbo, purtroppo venuto a mancare qualche anno fa, in memoria del quale abbiamo organizzato alcune staffette, l’ultima a Monza, prima del lockdown.
Massimiliano Longobardo