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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Una vita migliore, da Necoclì

Arrivammo a Necoclì nella notte profonda, più o meno le quattro della mattina. Tutto risuona a silenzio, la strada è arancione, illuminata dai lampioni lungo il marciapiede, due piccoli cani randagi girano nei dintorni cercando cibo ed acqua, fa piacevolmente caldo nonostante sia notte. Si sente il suono del mare che si infrange leggero sulla battigia, attraverso le sue minute onde. Cerchiamo qualcosa da mangiare, non abbiamo ingerito nulla per tutto il viaggio ed adesso un certo languorino si fa sentire. Giungiamo in spiaggia dove, aperta, troviamo una finestra di una casa dove un signore frigge alcune empanadas da dentro il suo salone. Ci sporgiamo, un enorme pentolone è posizionato su un piccolo falò/camino, costruito artigianalmente per l’appunto dentro il suo salotto. Ne compriamo tre, una per me e due per Sebas più una Colombiana ed un’acqua. Ce le porge in un sacchetto e tira fuori da un grande pozzetto le bibite ben fresche. Due altri signori ci osservano sonnolenti mentre mangiano anch’essi alcune empanadas appena fritte e ci sorridono educatamente. Prendiamo i nostri acquisti e ci dirigiamo verso il mare, seguendo il suo suono nella notte. La sabbia è bagnata dall’umidità. Ci sediamo su di un tronco guardando il mare scuro nella notte che si perde all’orizzonte pezzato di stelle ma senza luna. Alcune palme adornano i dintorni, chioschi chiusi in legno ai nostri lati ed ancora il mare dove flottano ancorate o legate con corde alcune piccole imbarcazioni, sul mare calmo dell’oscurità. Ci sediamo ed iniziamo a mangiare tranquilli, ci togliamo le scarpe ed appoggiamo i piedi nudi sulla sabbia piacevolmente fresca, osserviamo davanti a noi, sentiamo solamente il mare ed il vociare allegro di alcuni ragazzi, seduti sui loro motorini poco distanti da noi, parlano tranquilli dei loro affari, alcuni fumano un paio di sigarette uno, all’arrivo di una ragazza, probabilmente la sua ragazza si allontana poco distante e si nascondono dietro un arbusto. La notte è giovane ed è fatta per esplorare. Escono dal loro rifugio dopo una ventina di minuti, il ragazzo si chiude la cerniera dei pantaloni e la cintura e poi, da la mano alla ragazza che, nel frattempo si lega i capelli. Noi, ci adagiamo su quei tronchi mentre aspettiamo il giorno, chiudiamo un po’ gli occhi divertiti dalla scena.

Il nuovo giorno si fa giorno rapidamente, l’alba arriva colma di nuove idee e desideri. Ci stropicciamo un pochino il viso. La luce del sole inizia a riscaldare le cose intorno a noi ed anche i nostri corpi. Comincia ad illuminare i dintorni, ed il mondo che ci circonda. Quei chioschi chiusi in legno, diventano chioschi verdi, dipinti di colori accesi, alcune porte gialle, altre pareti rosse. Andiamo alla ricerca di una colazione e del molo dal quale dobbiamo poi partire per Capurgana. Camminando ci accorgiamo che, quella cittadina apparentemente vuota, è invece piena di persone e molto vivace. Alcune di esse fanno Crossfit in un box lungo il lungomare, altre aprono i loro negozietti, i bar servono le prime colazioni e noi ne ordiniamo una prima di arrivare al molo che, da lontano sembra essere abbastanza pieno di gente. Ordiniamo una colazione della casa, un “Calentao” ossia, un riso con fagioli e uova strapazzate, fagioli con pomodoro, del bacon e pane con burro, qualcosa di “leggero” per affrontare il viaggio.

Tutti quelli che già hanno affrontato questo tragitto in mare mi hanno detto che, di solito, il mare è decisamente mosso e si balla abbastanza sulle imbarcazioni che traghettano dall’altra parte. Capurganà non è un’isola ma non si può raggiungere, almeno facilmente e in sicurezza, via terra. Infatti, si trova in una baia, Necoclì in basso e Capurganà insieme ad altri paesini in altro ma, in quel lato della costa è tutta selva perciò abitata da differenti animali feroci e potenzialmente pericolosi, come pantere, tigri ed altri velenosi come rane e serpenti. L’opzione più comune per raggiungere quei piccoli paradisi terrestri sono appunto le lance, piccole e medie imbarcazioni con una capienza di circa cinquanta persone che in più o meno due ore raggiungono l’altra costa attraversando il Mar dei Caraibi, un mare di solito impetuoso ma con delle acque cristalline e calde. Da qui, inoltre, sfortunatamente, partono moltissimi migranti che, provenienti dall’Africa o da Venezuela, cercano una vita migliore, delle opportunità, un lavoro che risulterà essere mal pagato e con orari schiavizzanti o anche il ricongiungimento con alcuni familiari negli Stati Uniti d’America, rischiando la loro vita in un percorso altamente pericoloso nel tragitto chiamato: “la Rotta del Darién”. Queste persone, disperate per la loro situazione economica, sociale, dovuta alla povertà o un governo dittatoriale  e tirannico come per esempio la dittatura comunista di Maduro in Venezuela, sono costretti ad affrontare ogni tipo di sopruso, angheria e mettere a repentaglio la loro vita, a volte quella dei loro genitori o figli passando lì dove la Panamericana si taglia, nella più profonda selva, tra animali feroci, acqua  stagnanti, umidità altissima e temperature insopportabili, nelle mani di malviventi che, alla prima difficoltà li abbandonano lasciandoli morire soli e con dolori lancinanti, fisici o psicologici. Tutto questo, ovviamente, è colpa dei governi dittatoriali comunisti e fascisti, despoti come in Africa dove la corruzione è indecenti, come Venezuela e Cuba che mantengono le persone con fame e tristezza, e quelli selvaggi capitalisti che brillano, come gli Stati Uniti d’America, di una luce, falsa, di speranza, sopra una montagna di cadaveri, sangue, e prevaricazioni.

Da qui, da Necoclì, passano loro, eroi della vita con una speranza di rivincita, con un desiderio di una casa, quattro mura sicure dove provare a dare un’esistenza migliori alle loro discendenze. Persone, anime coraggiose che lottano per un sogno, il sogno di vivere una vita dignitosa e serena. In fila per la nostra imbarcazione lì osservo lì, con uno zaino, un borsone al lato, in braccio spesso un bambino che sgranocchia qualcosa da mangiare in attesa di essere portati dall’altra parte e da lì, nelle mani di qualsiasi dio intraprendere il cammino verso nord. Nei loro occhi vedo la speranza, la paura e la nostalgia, nessuna colpa gli appartiene solo il coraggio. Vorrei poter fare qualcosa, qualcosa di effettivo e grande, nel mio piccolo compro loro dell’acqua e del cibo e scrivo queste parole affinché la loro storia e il loro desiderio non sia e non sia stato mai invano. Suerte!

a cura di Michele Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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