Continuammo a camminare per altri pochi metri in più. Tolsi le scarpe per sprofondare i piedi nella sabbia bianca e fresca sotto di me. Le tenevo fra le dita della mano sinistra, con l’altra spostavo qualche ramo verde che cadeva insonnolito lungo il cammino. Già potevo scorgere il suono grazioso del mare, le minuscole onde che si infrangevano sulla battigia alta di sabbia bianchissima e fina. Davanti a me, s’aprì la baia di Sapzurro, qualcosa di abbacinante, mozzafiato che mi lasciò assolutamente senza parole, con un nodo nella pancia che salì velocemente in gola scaturendo alcune lacrime di felicità ed emozione incontenibile. La natura. Essere non solo a contatto con essa ma, bensì, dentro di essa, formare parte di qualcosa di straordinario e perfetto, senza l’inutile architettura, case, muri, le pagliacciate della società, come l’arte e le cupole delle chiese o le linee di un edificio modernista o un giardino fiorito morto e senza anima. Ero dentro la natura, ero la natura. Fu una delle emozioni più incredibili mai vissute. La baia si spalancò davanti ai miei occhi, il suo mare piatto, queto, azzurro con sfumature di turchese, sopra un cielo terso e celeste, perfetto. Tutt’intorno delle piccole colline verdi, d’una vegetazione rigogliosa e attiva, viva, palpitante, sopra un cuore pulsante, la terra umida mescolata con la sabbia bianca che, attraverso le radici, vene fedeli, transitano la linfa a tutto ciò che vedo qui, intorno a me. Sullo specchio di Nettuno, sopra il Mar dei Caraibi, un paio di velieri ondeggiano assonnati su di esso, godendosi la tranquillità e la pace del giorno. Alcune palme si inchinano forti, lambendo il mare ed alcuni rami sfiorano timide le sue acque. Cammino con una felicità ancestrale, una gioia infantile e sincera.
Lascio le mie impronte sulla arena che il mare, porterà via presto ma, non importa, io sono stato qui, nella verità di un istante, nell’infinito momento di un attimo eterno, nello stoico vivere che fu, nonostante passato, il tempo è stato presente, testimone eterno, per sempre, romantico, ancora eterno e vivo. Passo lasciando impronte che andranno via e forse, così dovrebbe essere. Lasciare impronte invisibili ma presenti, marcare un prima ed un dopo e, dopo aver fatto esperienza, continuare via, senza distruggere, senza cercare un consenso, senza ribaltare le cose e modificare la straordinaria bellezza che ci circonda. Sapzurro è eternità mutevole, è passaggio di storie, vite, piccole emozioni gigantesche e sinestesie.
Proseguendo lungo la riva bianchissima che costeggia il mare turchese, raggiungiamo fedeli un mucchietto minuscolo di casette costruite a due passi dal mare, praticamente sulla sabbia. Sono perlopiù bianche, consumate dallo sbattere della salsedine che, tempo dopo tempo ha eroso le loro facciate senza orpelli inutili. Altre sono tinteggiate di rosso, un rosso scuro tendente al bordeaux, talune di verde bottiglia, scuro ma brillante, altre ancora di un azzurro scuro. Passiamo anche davanti ad alcune capanne costruite in legno scuro, finestre grandi affacciate su alcune palme alte ed ancora il mare, protagonista indiscusso. Arrivammo nella piazzetta minuta di Sapzurro, una piccolissima chiesa biancastra apriva le sue porte ai pochi avventori, pescatori, marinai cosmopoliti, provenienti da alcuni pescherecci ancorati nella rada ed attraccati al piccolo molo in legno umido, su gommoni dal motore esterno, per riposarsi davanti ad alcune bottiglie di Aguardiente, dal costante ondeggiare delle loro vite, un poco di terra ferma, risate, e carte. Davanti alla chiesa un bar, un ristorante casereccio dal quale usciva determinato il profumo delle preparazioni per la colazioni. Riso al cocco, pesce e platani fritti, arepas sulle piastre. Tutto profumava delizioso. La nostra capanna era subito dopo la spiaggetta. Ci accolse una signora gentilissima e sorridente, con un succo di carambolo appena raccolti dall’albero piantato affianco alla sua struttura. Era semplice con una parte in legno e mattoni. La nostra stanza si trovava al secondo piano, avevamo una vista incredibile e unica. La camera aveva una porta ma non aveva nessuna parete, solamente un tetto in legno rivestito da un materiale impermeabile, un pavimento anch’esso in legno, un’amaca, un letto a baldacchino con una zanzariera che copriva nella sua totalità il letto per non farsi pungere dalle zanzare nella notte. Tutto intorno la foresta ed infine il mare.
Ci infilammo il costume da bagno, un pantaloncino da ginnastica ed una camicia comoda e leggera e scendemmo in spiaggia. L’acqua era tranquilla, uno specchio azzurro e caldo. Ci facemmo un bel bagno, la sabbia bianca, le palme, l’acqua incredibilmente trasparente e tiepida. Dopo esserci asciugati decidemmo di andare ad esplorare un pochino i dintorni. Ci dirigemmo verso sinistra, un piccolo sentiero ci traghettò, dietro l’angolo ad una caletta totalmente vuota, lì, potemmo liberarci da ogni abbigliamento e lanciarci in acqua in totale libertà. Una palma si inchinava specchiandosi e lambendo lo specchio caldo del Mar dei Caraibi, un tronco flottava quasi immobile sull’acqua, chissà da dove proviene. Apriamo un cocco, non con poca difficoltà, visto che, per raggiungere la noce commestibile, v’è una intensa cappa di uno strato filamentoso e arancione che, macchiò tutte le mani di Sebas, lo aprimmo, bevemmo il suo dissetante liquido e, con l’aiuto di una pietra, lo rompemmo per mangiarlo. Era incredibile. Restammo stesi sul bagnasciuga per alcune ore, quasi tutto il giorno, bagnati dalle piccole onde ed il sole piacevolmente calido. Giocammo ad osservare i paguri scavando dentro una noce di cocco aperta ed andata a male, disegnammo sulla sabbia ed ascoltammo musica ed il suono delle piccole onde.
Un tramonto infuocato illuminò tutta la baia di un rosa pastello, il sole annegò nel mare, piano, senza fretta ma costante dando spazio alla sera e poi alla notte. Ci facemmo la doccia nel bagno senza pareti che si affacciava nella foresta, ci vestimmo per andare a cercare la cena. La piazzetta era vivace, i bambini correvano su biciclettine colorate o dietro ad un pallone, i giovanissimi genitori spingevano alcune carrozzine, con altri pargoli e ridevano e parlavano a voce alta con gli altri amici genitori. Ci sedemmo ed ordinammo un delizioso riso al cocco con pollo alla brace, un pesce sempre alla brace ed una insalata di pomodori, aguacates e arepas. Tutto sapeva di verità, legno affumicato e felicità.
La luna poi, prese possesso del cielo blu, lo illuminava con maestosità, sembrava quasi giorno sotto di lei, le stelle riempivano il firmamento e noi, mano nella mano, osservavamo l’infinito seduti sulla sabbia umida poco distante dalla piazzetta di Sapzurro. In lontananza il vociare allegro, dall’altra parte il bugiardo silenzio della selva e, di tutti i suoi abitanti, animali e creature che la abitano e davanti a noi il mare scuro della notte, illuminato da una luna piena impressionante, il veliero è ancora li all’ancora. Alziamo lo sguardo, la allegria risiede qui, a Sapzurro.
a cura di Michele Terralavoro