Dopo una buona e croccante colazione vicino alla stazione luminosa di Blois, salgo sul treno che mi porterà, dopo un’ora e trenta circa, dentro la stazione di Parigi per poi prendere un bus verso l’Italia. Ripercorro rapidamente e, senza molto entusiasmo, la triste capitale francese, sporca e inutilmente, e ingiustificatamente aggiungerei, cara. Paris Bercy, di nuovo qui, nella maleodorante stazione di pullman, aspetto un paio di ore e salgo sul Flixbus che mi porterà direttamente a Milano, dove rimarrò solamente una giornata, per qualche rapido affare di lavoro.
Ho vissuto a Milano per qualche tempo. In Italia, la maggior parte delle produzioni di teatro musicale si svolgono e sviluppano qui. Vissi qui a cavallo tra il 2012 ed il 2013. Sì, ho vissuto qui a Milano la tanto annunciata fine del mondo, quella predetta dai Maya che, è già, siamo ancora qua! Milano rappresenta per me, seppur non è una città in cui vivrei perché: “più siamo lontani dalle città e meglio si vive”, qualcosa di magico, ricordi estremamente felici, allegri, l’inizio di un percorso che tutt’ora sto percorrendo, quello della mia indipendenza e, dell’arte.
Ricordo ancora con nitidezza estrema il momento in cui sbarcai a Milano. Scendevo da un’alta velocità Roma/Milano di tre ore all’incirca, piacevoli e piene zeppe di aspettative e aneliti. Era da poco iniziato novembre, avevo impacchettato alcuni libri, un mini-notebook dove appuntare alcune cose, il mio Blackberry, che da lì a poco sarebbe scomparso per sempre, il suo caricatore, una macchinetta fotografica, un astuccio con alcune penne ed una matita ed altre cianfrusaglie varie in uno zaino con una gigante cerniera al centro e con al lato scritto EXTRA, regalatami da Daniela, la futura moglie di mio papà. I vestiti erano a parte dentro un trolley grigio metallizzato di media grandezza. Avevo 21 anni. Ero entusiasta di quella eccezionale opportunità che mi era stata data, lavora in un musical a livello nazionale al fianco di una grande intramontabile come Loretta Goggi. Sarei rimasto a casa di alcuni zii lontani, cugini da parte di mio nonno paterno che non avevo mai visto prima di quel momento. I miei nonni già mi aspettavano lì, loro erano andati prima, per introdurmi nella mia futura casa. Mi ricevettero con tutta la loro amabilità, all’ottavo piano di una stupenda palazzina anni 70 in Piazza de Angelis, dietro il Teatro Nazionale. Ricordo il grosso cane buffone venire a ricevermi, mia nonna, ed i miei zii con un abbraccio. All’indomani avrei affrontato le mie prime prove! Che emozione, se lo penso in questo momento ancora ho le farfalle nello stomaco dalla felicità mista ad una paura di non essere all’altezza. Salutai i miei nonni che si ridirigono verso Roma, ed io, dopo aver fatto una doccia e mangiato, vado a letto dove, mi sarà impossibile prendere sonno. Ricordo la sveglia alle ore 7:30, tutto era pronto, il copione stampato, un evidenziatore giallo Stabilo, una matita per prendere appunti, una borraccia con del the caldo ed un piccolo pacchetto di biscotti alle mele. Stringo le mani ai miei futuri compagni di viaggio, di tournée che durerà più o meno 7 mesi, percorrendo l’Italia da Trieste in giù! Arrivò Loretta Goggi, ricordo la sua entrata nella grande sala, un teatro smontato con solamente delle quinte nere e tendoni dello stesso colore. Entrò con al fianco un paio di assistenti. È straordinaria, ci presentiamo uno ad uno, ricorderà perfettamente tutti i nostri nomi, sempre, durante tutti i mesi. Appresi che questo era rispetto, ricordare i nomi e le cose, gli appuntamenti ed arrivare puntali. Appresi il rispetto per il proprio lavoro e quello altrui. Stetti a Milano i primi tre mesi, girovagai, conobbi la città, i miei compagni di lavoro. Capii che quello era il mio cammino, non necessariamente il musical in sé, almeno non solo quello, ma la libertà di movimento, l’essere liberi, l’arte. Rammendo indimenticabile la prima dello spettacolo “Gypsy il Musical”, il Teatro Nuovo gremito pieno di gente, tra persone, stampa e volti noti della tv e cinema. Ricordo l’abbacinante emozione baluginare dentro di me, come le luci che danno sulla ribalta, come le farfalle che volano dentro il primo amore, nel primo bacio. Era anche la mia ribalta, da adolescente ed acerbo a responsabile, in entrata all’età adulta. Gli strobi, le quinte, i cambi rapidi, le mani della mia amica Naomi battere forte, venuta da Roma per vedermi con Antonella, sua madre, e quelle di mia mamma che era venuta a sorpresa a vedermi, anche lei. Fuori pioveva e già faceva freddo ma dentro di me il calore di quegli anni rimase per sempre, tutt’oggi, tutt’ora.
Oggi. Ripercorro Milano differente, con delle esperienze vissute, altre. Percorro queste vie che percorsi più di 12 anni fa, sembra ieri, sembra oggi, eppure sono passati ben dodici anni, sulla pelle, sottopelle, attraverso il cuore, fra le mani, nel vento di questa vita che ulula forte, nello scorrere di un fiume, tra le onde, sulle scogliere, negli occhi delle persone incrociate casualmente durante il cammino. Tra le vite, tra i racconti e le storie. In fin dei conti, penso, siamo casuali variabili, tra le quinte di questa cosa che, chiamiamo, Vita!
Pizza, un gelato, e a letto, dopo i giri di lavoro ed il baluginare dei ricordi felici, anche questi lo saranno, ne sono certo, una sacca di ricordi felici per non restare mai senza. Milano, tu ed io ci vediamo spesso, sappiamo entrambi che è un arrivederci.
a cura di Michele Terralavoro