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Diario di avventure, finestre sulla Terra. La notte con il sole qui, a Cartagena de Indias!

Ci svegliammo, senza sveglia molto presto. Sarà stato il sudore, le lenzuola bagnate da quest’ultimo, il sole che baluginava attraverso le tende color panna, la voglia di fare colazione ed andare al mare o un poco di tutto ciò. Fatto sta che già stavamo in piedi verso le sette. La colazione fu sulla terrazza all’ultimo piano, si poteva osservare l’orizzonte, il mare, il centro storico e l’antica muraglia mentre mangiavamo del pane tostato con uova strapazzate, bacon, della frutta fresca, un succo recentemente spremuto. Zaino pronto e via verso il mare. Seguivamo il suo odore. L’acqua calda dei caraibi mi accolse con tutta la sua allegria, restammo in acqua ore ed ore. A tirarci fuori fu un improvviso acquazzone tropicale di quelli che sembra che dal cielo, sopra quelle nuvole viola, qualcuno con dei secchi inizia a lanciare a più non posso. Ci rifugiammo un paio di decine di minuti, giusto il tempo di far scivolare via quei nuvoloni enormi e far riaffiorare il sole. Tornò il caldo afoso, il sole piantato nel cielo e già, era l’ora di pranzo. La bandiera colombiana sventolava fiera su una delle torrette della vecchia muraglia.

Iniziammo a passeggiare per le viette del centro storico, l’antica città di Cartagena. Il canto alticcio dei pappagallini ci accompagnava nel nostro perlustrare allegro. Casette coloniali basse, bianche, azzurrine, gialle, in mattonato. Varie gelaterie, alcuni ristorantini tipici, alcuni ristoranti italiani dai nomi “tipici”. Mano nella mano percorrevamo le viuzze dove il sole poco entrava diretto ma, la sua luce riflessa ci illuminava e le gocce di sudore sulla nostra fronte asciugava. Tutto era musicale, v’era musica dalle finestre gioiose delle case e dei locali, musica per strada, alcune donne camminavano con dei cesti sulla testa. Avevamo voglia di pollo fritto così, entrammo dentro un locale dove lo facevamo. Mangiammo di gusto, era buonissimo, non certo la pietanza più indicata per un posto di mare e calore ma, poco ci importava. Restammo a chiacchierare davanti ad una bevanda ghiacciata. Poi, prendemmo un caffè freddo e riuscimmo fuori.

Quella sera avevamo prenotato un giro notturno in una “Chiva Rumbera”, un antico mezzo di trasporto, ancora usato in alcune parti del paese per trasportare persone e mercanzia nei campi, nelle campagne o zone rurali di non facile accesso ma, anche, alcune le avevano adattate per fare dei giri delle città con musica colombiana e Aguardiente, un tipo di distillato dal sapore forte e con retrogusto di anice, molto alcolico ovviamente! Così, tornammo in hotel dove entrammo nella piscina per rinfrescarci e rifocillarci un pochino dopo la giornata camminando sotto il sole e mare. Se avessi alzato lo sguardo avrei veduto questa struttura ben curata, rimodellata. Penso alla tranquillità di una vita semplice, forse senza tutte queste paranoie ed etichette che ci tappezzano il corpo e, purtroppo, soprattutto la mente. Qui la vita è vita. C’è il mare che si chiama mare, la sabbia che scotta ed è sabbia, il sole che brucia, la pioggia che pioggia e bagna i volti ed i corpi, e lava, e pulisce, e annaffia, irriga, e fa crescere le piante, il caffè, il cioccolato, la frutta, fa bere gli animali. La vita qui si chiama vita senza tutte queste sovrastrutture innecessarie, necessarie solamente per dividere, ghettizzare, arrestare, interrompere e spaventare e dunque, cogito ergo, bloccare. Sono vivo, qui, in questo altrove qui abbagliante e denso che mi mantiene, appunto, vivo.

L’acqua arriva tiepida dal rubinetto della doccia dentro la stanza ma perché chiedere di più è perfetta così com’è. Ci lavammo e vestimmo, mangiammo un pezzetto di pizza e via verso la piazza principale da dove sarebbe partita la nostra “Chiva”. C’erano altre persone, le salutammo, bei sorrisi, ci presentammo. Al salire ci consegnarono mezza di Aguardiente, prendemmo posto e via. Iniziò il giro. La musica partì ed il ragazzo che era accanto al copilota cominciò a parlere, a spiegarci il giro e a animare la festa. Fu divertentissimo durò quasi due ore. Sudammo, ballammo tra le sedute in legno rosse, ridemmo con gli altri passeggeri, saltammo. Passammo davanti al mare, lì, ci fecero scendere un attimino per fare delle foto della città di notte da fuori, alcuni di noi approfittammo anche per fare pipì tra i cespugli, accanto alla “Chiva”, inoltre, comprammo anche qualcosina da sgranocchiare, delle patatine, un gelato confezionato al cocco ed altre bevande e, dopo le foto di rito, il giro riprese il rombo direzione finale, una discoteca vicino alla piazzetta principale dove eravamo partiti.

La musica fuoriusciva dalle porte d’entrata del locale. Blu, verde, rosso, rosa, giallo i colori si alternavano dallo strobo appeso al tetto del locale. La musica risuonava forte dalle casse attaccate ai muri. Ci divincolammo fra le persone per raggiungere un tavolino piccolo ed alto sul quale appoggiare le bevande che avremmo richiesto. Il suono scorreva nelle vene, tolsi la camicia, ballavamo reggaeton sulla pista, delle ballerine fecero uno spettacolo, applaudimmo e danzammo ancora. Vinsi una mini-competizione di ballo, quelle che si vincono attraverso gli applausi così, mi portarono al tavolo un cocktail in omaggio, ero felice con il mio grande trofeo! Le guance rosse, il corpo sudato e stanco. Uscimmo dal locale che già il sole, anch’esso, iniziò ad uscire, da dietro la luna, ed un paio di nuvole bianche dietro l’orizzonte. Il suono flebile di alcuni pappagallini echeggiava appeso dagli alberi. Da alcune finestre aperte, per il caldo, si intravedeva il movimento delle tende bianche, ed il rumore metallico di un ventilatore a tetto. Altre invece erano chiuse, probabilmente al fresco di un’aria condizionata ed il tintinnio delle goccioline di queste ultime batteva sui marciapiedi lungo il nostro cammino così come i tacchi di alcune prostitute che scendevano dalle scale di un edificio, lì in centro.

Comprammo, in un chioschetto, un paio di gelati confezionati alla vaniglia con il biscotto, dell’acqua fresca, una tavoletta di cioccolato e delle caramelle gommose. Durante la notte aveva brillato il sole qui a Cartagena, nei nostri occhi felici, nelle strisce di sudore lungo i nostri corpi e già, era giorno, un nuovo splendido giorno.

a cura di Michele Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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