La mattina si alzò con voglia di iniziare già la giornata. Così, dopo una ricchissima colazione in uno dei bar in piazzetta, in stile colombiano, arepa, uova rotte, palitos di formaggio ed una ottima cioccolata calda in acqua, ci dirigiamo verso il punto di incontro dove avremmo preso i nostri “Willy” per salire fino alla Cueva del Esplendor. Un’enorme cascata, dal getto fortissimo, in caduta libera in un lago, dentro una grotta verdissima. Jardin già brulica di gente che cammina, chi verso il lavoro, altri per comprare la colazione, taluni sistemando il proprio negozio ed altri semplicemente svegliandosi.
Siamo pronti, montiamo sul tipico 4X4, è di colore rosso, ha una cabina con tre posti nella parte anteriore e, nella parte retrostante, incastonata dentro delle sbarre di ferro nere, un po’ sbiadite, ci sono sei sedute, tre in ogni lato, non ci sono cinture di sicurezza, bisogna reggersi bene e fare attenzione alla testa soprattutto. Comincia la marcia, iniziamo a salire. La strada è in terra battuta, passiamo in un ruscello che aveva invaso la strada e continuiamo. Buche profonde ed altre meno profonde ci fanno rimbalzare sui nostri sedili, a destra ed a sinistra, in alto ed in basso, ci scuotono per benino. Mi affaccio un pochino, ma non riesco a vedere bene il paesaggio che sembra essere stupendo così, il conducente mi dice che, se volessi potrei effettuare il viaggio in piedi nella parte posteriore aggrappato alle sbarre del tetto. Non me lo faccio ripetere due volte, mi tolgo l’impermeabile, posiziono lo zaino sotto il sedile con dentro il cellulare e le chiavi dell’appartamento e, insieme a Sebas usciamo fuori. È incredibile. Stiamo passando nel bel mezzo di campi rigogliosissimi di planati, le loro foglie, i loro steli sono incredibili, verdissimi, grandi, forti con appesi i loro grandi frutti, alcuni ancora acerbi nel fiore rosso, ed altri già pronti per la raccolta, tra il verde ed il giallo, nei loro tronchi abbracciati sulla pendice della montagna umida. Continua la salita, percepisco una lieve e gradevole aroma di caffè e, in effetti, dopo circa cinque minuti, ed una curva a strapiombo su un precipizio, scorgo un immenso campo di caffè. Piccoli arbusti verde scuro pieni di puntini rossi, i chicchi di caffè appunto si schiudono su di un fianco della collina. La felicità si apre in un sorriso, sono lì, in piedi, sopra una jeep aperta che mi sta portando in una grotta con una cascata al suo interno, l’aria profumata di tradizione, essenza di vita, platano, caffè e di altri frutti tropicali di cui, non conosco il nome, mi spettinano i capelli all’indietro e poi di lato. Smuove anche i miei pensieri. Tutto è infinito, illimitato e reale, vero e potente, essenziale e colmatore! Tutto, ringrazio, ne sono grato. Nel tragitto incontriamo anche qualche piccola agglomerazione di capanne in legno, piccole casette basse con enormi giardini intorno, colorate, curate, un hostal con piscina dove qualcuno sta facendo colazione. Un paio di cavalli, persone nei loro stivali neri o verdi ci osservano salire.
Ci fanno scendere in un piazzale, da lì in poi, fino alla grotta, sarà a piedi. Inizio a scendere per un cammino stretto di terra. Appena ci addentriamo nella foresta sembra essere in un altro mondo totalmente nuovo e differente. Odora di muschio, erba bagnata, un profumo di silenzio ci circonda immobile. Suona a battito lieve di ali di alcuni uccellini blu che si muovono da un rametto all’altro osservandoci ed osservando intorno. Scroscia un fiume alla nostra sinistra, risuona rilassato accarezzando il suo letto fatto di ciottoli biancastri, piante acquatiche e massi caduti dalla montagna che si solleva invece alla nostra destra. La tocco, lambendola con il palmo della mia mano destra ben aperta. È suave il suo manto fatto di muschio ed acqua in costante caduta verso il suolo, che bagna il nostro cammino. In alto, invece, alberi, ancora platani, arbusti altissimi e fini non tappano completamente il cielo celeste che ci copre. Filtra il sole tra la vegetazione verde, fitta ma sottile. Illumina le cose, alcune cose, altre rimangono all’ombra e si ricoprono di musco. Rischiara un tappeto di edere dalla quali escono piccole farfalline muovendosi in moti circolari. Respiro il vapore dell’umidità accogliente dovuta alla forza del fiume che si fa sempre più grande e forte alla sinistra, scorrendo verso il basso, verso il grande salto. Superiamo, scorrendo le mani lungo una corda posizionata da un estremo all’altro parte del fiume, ancora un paio di passi ed una enorme parete di muschio ci riceve alle porte della caverna. Si può ascoltare da fuori il rumore fortissimo del getto d’acqua cadendo violentemente all’interno del lago sottostante. Entriamo e lo spettacolo è indescrivibile. Il tutto risuona amplificato dovuto al rimbombare delle pareti che risaltano il tonfo delle acque. Un grandissimo buco sul tetto della Cueva permette al getto liquido di passare e continuare il suo fluire verso chissà quale pianura. È potentissimo, la forza degli schizzi e del vapore alzati dallo scontro tra le due acque, quella statica della pozza e la nuova e potente della cascata, ti rigettano verso fuori, ti spinge ad uscire. Il sole fa brillare le miriadi di goccioline che si espandono nell’aria, entrando così timidamente all’interno della grotta che, per questa ragione, rimane ad una temperatura un pochino più fredda rispetto all’esterno. Mi tolgo le scarpe e, senza non poca forza mi faccio strada dentro le acque gelide e turgide del lago. È una sensazione di impotenza, tutto è più grande ed incontrollabile, siamo piccoli e disarmati davanti a cotanta forza e valore. Rimaniamo a mollo per una decina di minuti. Sollevo lo sguardo verso la fessura che c’è tra le rocce, un piccolo scorcio di cielo posso intravederlo attraverso il vapore e le ombre. Le due rocce così vicine; eppure, così impossibilitate ad incontrarsi, destinate chissà a guardarsi solamente per tutto il resto dell’eternità. Occhi ad occhi, il loro muschio quasi si può adulare reciprocamente ma, loro no, il fato beffardo dell’esistenza, chissà quante vinte sfioriamo quotidianamente senza mai incontrarle davvero. Quanti “altri” sfuggiamo alla vista. Quanti sguardi persi tra i vagoni di una metro, nei semafori di una città incasinata, dietro i computer di una qualsiasi azienda innecessaria, nella luce azzurrina dello schermo di un cellulare.
Un pizzico di sole definisce parte dei contorni delle due crescenze rocciose. Le parti illuminate si tingono di un verde vivido e vivace, le altre si fanno cupe, scure, quasi nere, senza luce non c’è colore! Una piccola nuvola bianca copre per alcuni istanti il sole. Chiudo gli occhi, stringo le mani, impulso questa vita verso il mare, a volte risalgo lungo il fiume ed il suo scorrere per capire le cause, comprendere le ragioni ma, il mare è pur sempre il richiamo più forte che io conosca!
Scendiamo a valle, il vento torna a spettinarmi i capelli.
a cura di Michele Terralavoro