Alessandra Lazzarotto, l’occhio ufficiale della Kioene Padova
Sembra ieri quando Alessandra Lazzarotto scattò la prima foto della propria era bianconera. Sono passati più di 10 anni da quell’immagine, realizzata con l’emozione di chi per la prima volta si affacciava al mondo della fotografia sportiva. A seguire, sarebbe diventata la fotografa ufficiale della Kioene Padova, squadra per la quale nutre una passione ancora immutata. «Prima di allora – dice Alessandra – a parte qualche matrimonio, quello scatto fu il vero inizio della mia carriera. Quel giorno mi trovavo all’altezza della tribuna riservata a soci-sponsor e inquadrai Juan Carlos Barcala di spalle. Inviai la foto alla Società per il puro piacere di condividerla e poi mi chiamarono per chiedermi se avessimo voluto iniziare a collaborare insieme. Fu incredibile. Oggi per me la Kioene Padova vuol dire “famiglia”, ogni volta significa “ritorno a casa”. Quando a ottobre del 2020 ho messo nuovamente piede alla Kioene Arena dopo molti mesi di stop a causa del Covid, non nascondo di essermi commossa». Grazie alla pallavolo, la fotografia è diventata il suo mestiere, dato che Alessandra oggi lavora per un quotidiano locale.
Qual è la difficoltà di fotografare il volley, ma soprattutto di “fotografarlo bene”?
«E’ molto difficile fotografare la pallavolo. Oltre ad essere uno sport di velocità, ritengo sia necessario comprendere bene il singolo giocatore che andrai a inquadrare. Conoscerne la rincorsa, come schiaccia o come va a muro: tutto ciò è fondamentale per la buona riuscita dell’immagine. Negli ultimi anni mi ero talmente abituata a fotografare Travica che, quando arrivò un nuovo palleggiatore, nei primi momenti feci fatica a immortalarlo nell’esatto istante in cui aveva la palla tra le mani per alzarla. La fotografia nella pallavolo prevede studio, esperienza e sincronia».
Quali sono i ruoli del volley più difficili da fotografare?
«In primis quello del libero, soprattutto per quanto riguarda le difese. Ma anche gli opposti mancini sono “ostici”, perché spesso tendono a nascondersi il volto col braccio nel momento dell’impatto col pallone».
Cosa serve per diventare un bravo fotografo?
«Anzitutto la conoscenza della tecnica e delle luci. Quello che poi impari sui libri lo devi trasportare sul campo con tanta gavetta. Una volta fatto questo, allora ci si potrà concentrare anche su altre cose come l’inquadratura. Non bisogna pensare che basti avere “occhio” per essere un buon fotografo. E’ necessario comprendere a fondo quello che stai andando a fotografare e non serve realizzare mille scatti: è vero che statisticamente 10 ne verranno bene, ma bisogna puntare sulla qualità e non sul numero».
Cosa diresti a chi volesse iniziare una carriera da fotografo sportivo o non?
«Di non precludersi nulla o non snobbare mai nulla. Dai cataloghi ai matrimoni, dalle foto in studio, alla cronaca o lo sport. Esistono una miriade di situazioni diverse e provarle è un modo per fare esperienza e per trovare la propria strada e il proprio stile. Inoltre ai giovani direi che la migliore palestra è quella del giornale: anche dopo soli 6 mesi di collaborazione con un quotidiano, ti rendi immediatamente conto se questo mestiere potrà fare al caso tuo oppure no».