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Al Piccolo Bellini la Trilogia dell’indignazione di Soler

Degrado morale e tramonto di una civiltà al centro di 7 atti unici, estratti dall’opera del drammaturgo catalano e riadattati da Giovanni Meola.

Da martedì 25 aprile sta andando in scena al Piccolo Bellini di Napoli, con repliche fino a domenica 30 aprile, la Trilogia dell’indignazione (da Contro il Progresso, Contro l’Amore, Contro la Democrazia) di Esteve Soler, spettacolo adattato e diretto da Giovanni Meola per Virus Teatrali, con Roberta Astuti, Vincenzo Coppola, Sara Missaglia e Chiara Vitiello: di fatto un debutto, dopo l’anteprima presentata, circa 5 anni fa, al Napoli Teatro Festival Italia. Meola ha scelto il drammaturgo catalano contemporaneo, tra i più tradotti e rappresentati al mondo, «per consonanza di temi, umori, scarti di scrittura», selezionando dalla Trilogia sette brevi atti unici, sette quadri che danno forma, in una luce nettamente negativa e caricaturale (per quanto sia labile il confine tra l’iperbole e la realtà), a distorsioni e brutture del mondo contemporaneo o di un futuro imminente, grazie a personaggi nevrotici finemente caratterizzati: l’imprenditrice che, in nome del profitto e nell’ottica di uno sfruttamento massivo dei suoi dipendenti, giocando su paure e istinti di reverenziale sottomissione all’ignoto, escogita l’idea di fondare una nuova religione, affinché essa possa essere una sorta di efficace instrumentum regni, mentre la sua collega le fa da sponda, salvo poi invaghirsi della sua segretaria; la coppia che assassina la figlia, frutto di una gravidanza non desiderata, all’alba del giorno del suo diciottesimo compleanno, salvo poi essere, in età avanzata, braccata da un fantasma persecutorio che si materializza dalla tv; l’individuo che punta alla rifondazione di una città, delimitandola con frontiere e barriere, perché non vi sia tolleranza alcuna per chi la pensa in modo diverso, salvo poi scoprirsi che il suo istinto di sopraffazione è alimentato da una frustrazione recondita, riconducibile ad una delusione sentimentale; la coppia drogata dalle pillole dell’amore, che promettono una felicità fasulla, ma che di fatto spengono sul nascere ogni barlume di spirito critico; ancora una coppia, costretta a separarsi perché «è scaduto il contratto matrimoniale», e che, mediante la stipula di nuovi contratti, cerca di disciplinare l’esistenza futura; la giovane donna, che non riesce a liberarsi della persecuzione di un ex, somatizzatosi sotto forma di aggressivo tumore; la moglie che ha ridotto materialmente in frantumi il marito. Il testo non è dei più semplici e non si presta a una facile lettura né a una comprensione immediata: solo scavando oltre le apparenze e i paradossi, dando un significato concreto alle allusioni e alle metafore, lo spettatore coglie il senso di una accorata denuncia sociale, forse tanto più violenta quanto più implicita e sub limine. Meola, dopo aver selezionato della Trilogia quadri rappresentativi dell’arte drammaturgica di Soler, li intreccia e li sovrappone in modo studiato e non casuale, creando uno spettacolo che si dispiega nell’arco di 60 minuti, un tempo congruo (una durata superiore probabilmente lo avrebbe appesantito, rischiando di annoiare e far perdere di vista i rimandi interni tra i vari atti), facendo sì che immagini intrise di una forte carica perturbante si imprimano nella mente dello spettatore, indotto a riflettere, interrogarsi, rimuginare. Innegabile la bravura dei quattro attori che si destreggiano con disinvoltura nei vari ruoli, ben interiorizzati, con una originale interpretazione (ricorrente il ritmo ritualmente cantilenante delle litanie che scandisce le voci narranti o la pausa, di volta in volta esplicitamente segnalata), e che dipanano la matassa di un testo, a tratti ostico e criptico, riuscendo a valorizzarlo. L’arida atmosfera futuribile (ma il futuro è già hic et nunc!) è enfatizzata da una scenografia minimale – quasi a sottolineare la perdita di valori –, ridotta ad una sorta di gabbia scomponibile e riadattabile, e dai costumi geometricamente avanguardistici. La produzione Virus Teatrali, non trascurando alcun dettaglio, non delude, proponendo uno spettacolo che, pur con un linguaggio di non facile presa, nel suo indulgere ai parametri del teatro dell’assurdo, è di indubbio e dirompente impatto emozionale.

Massimiliano Longobardo

Trilogia dell’indignazione (da Contro il Progresso, Contro l’Amore, Contro la Democrazia), di Esteve Soler; regia – riduzione – adattamento: Giovanni Meola; con Roberta Astuti, Vincenzo Coppola, Sara Missaglia e Chiara Vitiello; scenografia: Flaviano Barbarisi; costumi: Marina Mango; ass.te alla regia: Annalisa Miele; foto di scena: Nina Borrelli; ufficio stampa: Gabriella Galbiati; consulente al progetto: Armando Rotondi; progetto grafico: Francesco Cotroneo.

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Redazione StreetNews.it
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