Una storia che parte dalla Sicilia ed è legata al divertimento. La sua è una famiglia di giostrai: il bisnonno ha iniziato il secolo scorso con un parco divertimenti itinerante e ad un certo punto la famiglia si è stabilita a Messina, realizzando il Baby Park. Crearono dal nulla una bellissima realtà: piantarono 500 alberi, bonificarono l’area in concessione e alla fine degli anni ‘60 nacque questo parco, che ad oggi è il terzo per importanza in Italia, dopo il Luneur di Roma ed Edenlandia a Napoli. Negli ultimi anni c’è stata la sosta obbligata per il Covid e adesso è in fase di realizzazione un progetto più ampio, che abbraccia diversi ambiti e prevede una profonda innovazione. Eugenio, per metà siciliano e metà napoletano, molto legato al segreto alchemico, ha una personalità davvero interessante: un mix quasi unico, costituito dal suo background familiare, formativo e professionale che esprime attraverso le sue opere. E’ un pittore e “ritrae” le giostre. Già dalle prime parole di quest’intervista si intende che il suo pensiero, profondamente legato alla tradizione familiare e alle caratteristiche della sua terra, è particolare. Parla anche della sua tesi di Laurea in storia dell’arte, che suscita tanta curiosità a partire dal titolo, in cui inserisce uno slang tipico del suo contesto sociale: “La storia dell’arte nello spettacolo viaggiante: meglio un pisto lofio che tre dritti toghi” (meglio un prete brutto che tre giostrai in gamba), proprio a rappresentare che il lavoro dei “dritti toghi” è pieno di sacrifici. Un po’ difficile riproporre in poche righe tutta la sua visione artistica del suo mondo.
Immagino la tua infanzia piena di luci e musica, anche se certamente non è stato sempre così, dato che tu hai vissuto il mondo delle giostre anche quando le attrazioni erano spente. Rappresenti movimento e vivacità nelle tue opere. Cosa trasmetti con la tua pittura?
C’è un forte rispetto nella giostra come entità. Per il visitatore è divertimento, adrenalina. Per un giostraio non è tutto suoni e colori: il “backstage” è costituito da sacrifici, dalla continua manutenzione quando il parco è chiuso al pubblico. Questo mi ha aiutato tantissimo a vivere una dimensione molto intima con le attrazioni: le accudisci, ci lavori, le sistemi. La cura rivolta alle giostre ti dà da mangiare e quindi le vedi con occhio diverso. Questo mi ha fatto sviluppare delle tematiche e delle poetiche legate a questo mondo; il rispetto quasi animista verso le giostre rende fiero il custode. Essenza fatta di forza ed energia emanate da strutture complesse e ciclopiche, come le macchine belliche, con la sovversiva differenza che esse sono state create ed esistono con il preciso scopo di divertire ed emozionare chi le osserva e le cavalca. Ho notato che quando il pubblico entra nel parco, pur essendo diversificato, le sovrastrutture (come il ceto sociale e la cultura) si abbattono e tutti tornano un po’ bambini: questo dimostra che quando l’uomo vuole, può costruire macchine massicce, resistenti, non per distruggere, ma per divertire e divertirsi.
Di tutte le tue opere, compresi i tuoi lavori, i tuoi costumi, a quale sei più legato?
Senza dubbio all’Imbonitore, personaggio molto antico e particolare, per quanto riguarda il costume. Ci sono particolarmente legato perché mi ha avvicinato allo spettacolo viaggiante. Ho vestito spesso i panni dell’”Imbonitore”, personaggio chiave nel mondo del circo, nato dalle fiere, diverso dal clown. L’Imbonitore invitava il pubblico a conoscere un mondo di stranezze, era un po’ ciarlatano e magico, ma anche scientifico: ti invitava a visitare il padiglione anatomico dove si potevano trovare animali strani, o a farti leggere i tarocchi, ti presentava il cavadenti, o ancora ti faceva conoscere il cinetoscopio, antenato del cinema da cui i fratelli Lumière avevano preso spunto. Per quanto riguarda le opere, sono tutte, le mie preferite: ognuna di esse ha una personalità. Piuttosto direi che la mia preferenza è data dal contesto temporale, perché da diversi anni ritraggo in notturna. Mi affascina la luminescenza, l’idea del forte movimento, che mi lega al futurismo. Ho notato che queste giostre, di notte, hanno un carattere diverso rispetto all’attrazione con la luce del giorno. A perfezionare lo scenario, lo sfondo della costa calabrese, le sue luci in lontananza che contrastano quasi con l’accecante luminosità della giostra accesa. Altro particolare: non conta la presenza o meno del pubblico. Il fulcro dell’opera è la giostra. Con “La Ballerina” però ho fatto un’eccezione: l’ho riempita di persone. Dato il periodo che abbiamo attraversato, ho pensato che includere anche il pubblico avrebbe aumentato l’empatia con l’opera ed avrebbe rappresentato il significato del divertimento, dell’insieme, che negli ultimi due anni è mancato. Un contesto felice, insomma.
Dove possiamo ammirare le tue opere?
A Procida c’è la Vineria Letteraria, che ne espone alcune. E’ un posto che a me piace molto, lo preferisco ad altri, anche per il legame che ho con la realtà partenopea. Per i progetti futuri, mi sto prendendo un po’ di tempo. Vorrei organizzare una mostra tramite la mia curatrice, che è la mia compagna, a Napoli. Sto collaborando con l’Accademia delle Belle Arti di Messina; probabilmente mi sposterò un po’ anche sul campo della stampa d’arte, riproponendo i miei soggetti utilizzando la tecnica dell’incisione. A breve, sarà online anche il sito internet. Per adesso sono attivo su Instagram e Facebook, basta cliccare su questi link.
A cura di Clemente Scafuro – Immagini riservate