In casa giallorossa è tempo di emozioni forti. L’ingresso in campo di domani significherà per la Tonno Callipo l’inizio di una nuova avventura che custodisce in sé l’essenza di un passato considerevole e intenso. Un ventennio di battaglie agonistiche sul palcoscenico della Serie A a cui il Club calabrese è giunto percorrendo una strada in salita secondo il progetto del presidente Pippo Callipo, artefice dell’ardua impresa di far attecchire il volley nel cuore dei calabresi.
Alla vigilia di un atteso esordio stagionale è tempo di ricordi e di bilanci ma anche di qualche rito benaugurale come crediamo che possa essere il messaggio rivolto ai nostri ragazzi direttamente dall’ex giocatore Vincenzo Simeonov che vestì la maglia della Callipo per tre stagioni consecutive dal 2008 al 2011:
“Date anima e cuore per la vostra squadra senza risparmiarvi mai e con la determinazione di chi crede nel progetto di una società seria e che nel tempo ha dimostrato di voler bene ai suoi atleti, di saperli ricompensare e farli sentire protagonisti dei suoi successi. Non è corretto pensare di andare a Vibo tanto per ‘svernare’ facendosi bene i propri conti: in questo posto non nevica, c’è un buon clima, si sta bene e pagano puntualmente. Sarebbe come commettere un’ingiustizia nei confronti del presidente e della sua famiglia”.
Le parole dell’ex schiacciatore bulgaro classe ’77, che nel campionato italiano ha lasciato orme indelebili, diventano la perfetta congiunzione tra passato e presente. Un passato che risale a dodici anni fa quando la formazione giallorossa si presentava nuovamente da ‘matricola’ nel Campionato di A1 dopo un anno di ‘passaggio’ dalla A2. Anno in cui il suo arrivo a Vibo Valentia fu tra le novità più significative e capaci di far sussultare di gioia il pubblico calabrese.
Uno dei mostri sacri della pallavolo, un misto di potenza e fisicità che fino ad allora era stato solo un avversario, un temibile e fortissimo avversario, avrebbe giocato per la Callipo. Il suo ingaggio fu un prezioso regalo che il presidente Pippo Callipo fece ai tifosi dopo aver mantenuto la promessa di abbandonare la serie A2 nel più breve tempo possibile. L’entusiasmo di un’intera città si tramutò in un’accoglienza indimenticabile: “Erano in tanti a darmi il benvenuto e da quel giorno mi hanno sempre trattato con i guanti di velluto facendomi sentire come un principe. È stata un’esperienza che mi ricorda molto il film ‘Benvenuti al Sud’ perché è vero che quando un forestiero viene al Sud piange due volte, quando arriva e quando parte. Prima per ambientarsi poi perché non vorrebbe andare più via”.
Tra le fila della squadra calabrese Simeonov portò una corposa esperienza maturata sul campo con le maglie di club come Cuneo, Montichiari, Padova e Piacenza ed anche il suo carisma da leader allacciando fin dalle prime battute un rapporto speciale con la dirigenza: “nessuno di noi veniva considerato un numero ma parte di una grande famiglia. Un rapporto che molti giocatori hanno coltivato anche dopo essere andati via da Vibo al punto che spesso tornano per fare visita al presidente. Questo è indicativo della bellissima atmosfera che si respira e che si ripercuote positivamente anche sul gruppo degli atleti”.
Sei arrivato nella stagione 2008-09, con esperienze positive alle spalle e vari trofei vinti. Cosa ti ha convinto a fermarti a Vibo?
“Arrivavo dalle mie migliori stagioni e avevo deciso di cambiare anche rischiando per qualcosa di nuovo. Ricordo che prima di firmare il contratto ho voluto conoscere il presidente che mi ha accolto negli uffici della sua azienda. Fin dalle prime battute sono stato affascinato dalle sue parole che ho ancora ben impresse nella mente. Mi ha parlato del rapporto diretto e familiare che ha con i suoi dipendenti e mi ha invitato a dare il meglio di me quando avrei indossato la maglia su cui è riportato il nome Callipo come simbolo di una realtà imprenditoriale sana e di successo. Dopo un discorso così non ho avuto bisogno di pensarci tanto e sono diventato uno di loro. Il primo anno siamo stati la sorpresa del campionato perché una squadra neopromossa che fa i play-off con Trento, e per due volte porta il punteggio sul 3-2, con la grossa possibilità di vincere al tiebreak, perdendo una volta 16-14 e l’altra 17-15, è una soddisfazione immensa e inaspettata”.
Sei rimasto a Vibo tre stagioni, ma è soprattutto quella prima annata eccezionale (380 punti e 27 ace), col 7° posto finale, poi eliminati nei play off da Treviso. In panchina prima Gulinelli e poi Uriarte, cosa ricordi di quella stagione?
“La prima stagione dovevamo ancora conoscerci, c’era tanta gente che passava di categoria, ragazzi all’esordio in A1 e quindi l’inizio è stato travagliato. Poi col cambio di allenatore a gennaio, alla Coppa Italia, abbiamo giocato i preliminari e dopo una gara molto brutta la società ha deciso di cambiare tecnico anche perché Gulinelli, se non ricordo male, aveva deciso di fare un’altra esperienza. Arrivò Uriarte e noi ragazzi diventammo una squadra molto unita. Mancavano sei partite alla fine della stagione e dopo aver fatto quadrato c’è stata proprio una svolta. Vincendo tutte le gare restanti e arrivammo carichi ai play off, contro Trento (settima contro seconda) e furono partite memorabili. Gente entusiasta, palazzetto di Vibo stracolmo. Un bel ricordo, sia la gara a Trento che a Vibo, contro i futuri campioni d’Italia”.
Invece le due annate successive, come sono state?
“La seconda 2009-10 ho avuto un gravissimo infortunio che mi ha tenuto fuori per due mesi, quindi sono rientrato prima di Natale perdendo di fatto mezzo campionato. Questa stagione non andò molto bene anche perché non eravamo riusciti a tenere la stessa squadra dell’anno precedente. Da una stagione all’altra una parte della rosa cambiava. Questo si verificava perché i giocatori più interessanti venivano intercettati dai grandi club del Nord come è stato per Raphael, Diaz, Anderson e tanti altri. Purtroppo un gruppo coeso si crea nel tempo, non si può pretendere di crearne uno nuovo e poi chiedere subito i risultati. So che è stato difficile anche per il presidente trattenere dei giocatori di quel calibro perché ovviamente come sponsor unico non può competere con le capacità economiche delle corazzate del Nord. Io sono rimasto per tre anni perché volevo aiutare la società perché ero comunque il giocatore con più esperienza e ho indossato la fascia di capitano per due anni. Nel 2010-11 abbiamo cambiato tanti altri giocatori, tra cui due bulgari e anche loro hanno avuto molti infortuni e non hanno potuto rendere per le loro potenzialità. L’altro cambiamento ha riguardato la panchina dove arrivò Di Pinto. Insomma fu una stagione un po’ sfortunata”.
Tanti compagni di squadra da Raphael a Ferraro, da Cozzi a Contreras, da Andrae a Cicola, da Marquez a Tencati, Coscione e Anderson. Cosa ricordi?
“Con Coscione sono stato nelle giovanili di Cuneo, quindi lo conoscevo da tanti anni avendoci giocato anche prima. Con Tencati abbiamo fatto tante sfide da avversario, quindi ero molto contento quando arrivò da noi. Raphael l’avevo visto solo in Russia e come ha dimostrato poi con la carriera fatta a Trento e in Brasile è un giocatore di indiscutibile valore. Però il giocatore che mi ha impressionato di più è Anderson: quando è entrato in palestra il primo giorno io ho subito detto all’allenatore Di Pinto che quel ragazzo era un fenomeno e diventerà il giocatore più forte del mondo. Ed infatti ci sono andato vicino, se non il più forte è tra i due o tre più forti al mondo ancora oggi. Un ragazzo con un’abnegazione incredibile ed una gran voglia di fare, di imparare, di conoscere”.
Fuori dal campo eravate un bel gruppo, c’erano delle cose che vi legavano?
“Vibo è un posto piccolo quindi si conoscono tutti. Quindi le serate di poker nella palazzina dove vivevamo tutti i ragazzi. Ogni giovedì quando non c’era il turno infrasettimanale c’era l’abitudine di andare tutti a Pizzo a mangiare il pesce o la carne. Non abbiamo mai avuto screzi tra noi, in questo ci ha aiutato anche il posto, la tifoseria, gente cordiale che ci invitava spesso a cena e a pranzo. Ad un certo punto era anche difficile rifiutare sempre l’invito quindi a volte eravamo contenti quando eravamo 2-3 giorni in trasferta così eravamo un po’ più liberi senza impegni extra pallavolistici (ride). Da quelle parti ho trovato gente di cuore. Le mie titubanze iniziali non erano sulla società ma sul posto ma in poco tempo mi sono dovuto ricredere. E poi Vibo non potrò dimenticarla mai perché è lì che nel 2010 è nata la mia prima figlia”.